Il debito pubblico
Un tema di estrema attualità, spesso sottovalutato nel passato, è quello dell’annoso debito pubblico.
A
partire dagli anni ottanta, il debito pubblico è stato un problema
solo per gli “addetti ai lavori”, non afferente l’ambito della politica
partecipata, soprattutto a livello collettivo. Nessuno si preoccupava
più di tanto; e se qualcuno si permetteva di sollevare il problema nelle
aule parlamentari veniva immediatamente ridicolizzato ed emarginato.
Tuttavia,
gli eventi di questi ultimi anni ci dimostrano che era invece
necessario prenderlo seriamente in considerazione. Oggi, purtroppo, ci
troviamo nella necessità di sciogliere questo nodo, pena la perdita di
conoscenza in un settore fondamentale per la nostra economia. La
formazione del debito pubblico è uno dei primi frutti bacati della
partitocrazia. Una sorta di vizio pubblico, per cui, tutti insieme,
allegramente, si è proceduto per decenni a spendere e a spandere senza
alcuna cognizione di causa. Il ricorso al debito, nel nostro Paese, è
diventato - da quel periodo in poi - un modo ordinario di sgovernare il
paese, e, viceversa, di governare gli appetiti famelici dell’apparato
partitocratico, in barba alle più elementari nozioni di economia.
Adesso che la dimensione del debito in rapporto al Prodotto interno
lordo ha assunto dimensioni macroscopiche fino ad arrivare al 120%, si corre ai ripari invocando lo stato d’eccezione e,
persino, la sospensione della sovranità popolare. Attualmente il governo ha varato una manovra finale di sicuro impatto sociale. Ma non credo servirà...
La storia
Senza andare troppo indietro nel tempo faccio una breve cronistoria degli eventi più significativi.
Per
comprendere appieno il fenomeno (sottovalutato) del debito pubblico
occorre scavare a fondo, fino alla “radice” politica di questa
“realizzazione” delle due condizioni di sostenibilità del debito
pubblico. I disavanzi primari cominciano a formarsi in
modo consistente nella prima meta degli anni ‘70. Complessivamente, in
questo decennio, il debito pubblico aumentò dal 40% sino al 60%. Nel
decennio dei “meravigliosi anni ‘70” abbiamo assistito ad un
aumento del 20% del rapporto debito pubblico/Pil. Per capirne i motivi,
occorre scomporre, per voci di spesa, il disavanzo di bilancio. Da che
cosa era originato questo deficit? In quegli anni i disavanzi primari
sono in parte giustificati da una esigenza di sostenere la nostra
economia in una fase congiunturale sfavorevole. Ma questa è solo una
parte della spiegazione.
Tra il 1970 e il 1980 la
spesa pubblica corrente aumenta dal 32% al 39%. Quindi, un aumento di
tale portata, non può avere come giustificazione soltanto quella di sostenere l’attività produttiva.
Il motivo deve ricercarsi nella spirale contestazionistica del 1968,
nella quale affiora con forza l’affermazione di taluni nuovi diritti che
avranno negli anni successivi una ricaduta economica notevole. Queste
rivendicazioni salariali troveranno una risposta politica del tutto
sganciata dalle teorie economiche che legavano il profitto al salario.
Sono anni in cui si realizzano sostanziali aumenti contrattuali,
trattamenti pensionistici più favorevoli ecc. Anche nella sanità si
registrò un forte aumento della spesa, completamente slegata da una
gestione oculata della cosa pubblica. I partiti, fregandosene della
meritocrazia e dei rendiconti di bilancio, avviarono una "campagna
acquisti" per esclusivo tornaconto personale o del partito di
appartenenza. Il fatto che la spesa pubblica fosse sempre in continuo
aumento non generò allarmi di grande portata. La condizione di
permanente disavanzo strutturale del sistema ha origine quindi in una
debolezza della politica. La politica fu incapace di governare
responsabilmente i forti conflitti sociali che si determinarono in
seguito al ‘68 e dunque vi fu una risposta consociativa dei partiti alle
nuove esigenze che affioravano a ridosso degli anni ‘70. L’estrema
incapacità della politica “democratica” dei partiti (partitocrazia)
diede luogo ad una consociazione attiva sul terreno della spesa
pubblica, tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione. DC e PCI
furono – in questo preciso frangente - sempre più frequentemente uniti
nella votazione dei programmi di spesa, incuranti degli enormi debiti
che ingeneravano. La Banca d’Italia, negli anni settanta, condivise con il Ministero del Tesoro l’obiettivo della crescita economica,
anche a scapito del contenimento dell’inflazione; per cui, mentre il
disavanzo primario aumentava, il tasso di interesse veniva mantenuto
molto al di sotto del tasso di crescita del pil, favorendo, in questo
modo, una stabilizzazione del rapporto debito/pil.
Per tal via, i debiti di bilancio, durante quegli anni, furono finanziati da quella che gli economisti chiamano “monetizzazione del debito pubblico” (Finanziamento del debito). La legge infatti stabiliva che la Banca d’Italia fosse obbligata a sottoscrivere le quote dei titoli di debito pubblico che il Tesoro emetteva sul mercato ma che non riusciva a vendere. Questo meccanismo aveva il forte svantaggio di ingenerare delle forti spirali inflazionistiche, anche se non produceva notevoli ripercussioni sul tasso di interesse, che rimaneva contenuto entro limiti accettabili. E' la ricetta che alcuni politici invocano ora con la creazione degli euro bond,
semplicemente per continuare a lucrare su tutto, non certo per arginare gli sprechi. Dimenticano che una
tal cosa esige una governance europea con politiche comuni, un comune Ministero del Tesoro, un comune Ministero dell'Economia ecc. Una tal
cosa, inoltre, prevede la modifica dei trattati e, per adesso, la
Germania è fortemente contraria.
Sino al 1970, gli accordi di Bretton Woods
furono in grado di contenere gli squilibri economici. Poi, però, la
guerra del Vietnam fece lievitare fortemente la spesa pubblica
statunitense, per cui il sistema andò in crisi. Infatti, di fronte al
crescente indebitamento degli USA, aumentavano le richieste di
conversione delle riserve auree.
Ciò spinse il presidente USA, in illo tempore, Richard Nixon, ad annunciare, il 15 agosto 1971, a Camp David, la sospensione della convertibilità del dollaro in oro.
Le riserve statunitensi si stavano pericolosamente assottigliando: il
Tesoro degli USA aveva già erogato 90.000 tonnellate d’oro. Inoltre,
occorre ricordare che, in tale occasione, la Federal Reserve stampò una
quantità ingente di banconote, assai superiore alla quantità consentità
dalla riserva aurea disponibile. Nella gestione del Fondo Monetario Internazionale erano già operativi i Diritti Speciali di Prelievo con un valore puramente convenzionale di un diritto speciale di prelievo per un dollaro.
Nel dicembre dello stesso anno il Gruppo dei Dieci firmò l'accordo Smithsonian Agreement, che mise fine agli accordi di Bretton Woods, svalutando il dollaro e dando inizio alla fluttuazione dei cambi. Lo standard aureo (Gold Standard) fu quindi sostituito da un non sistema
di cambi flessibili.
La Svolta
Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi |
Questo
disavanzo di bilancio non si fermò nemmeno negli anni successivi dove,
nonostante la congiuntura internazionale fosse favorevole, con una forte
espansione del ciclo economico internazionale, il Pil passò dallo 0,6%
del 1982 a quasi il 4 % del 1988. Dunque, nonostante una fase espansiva
del ciclo economico, si continuò ad accumulare forti disavanzi di
bilancio che fecero salire il debito pubblico in modo esponenziale.
Non si può parlare di un'applicazione della teoria economica keynesiana. Difatti, chi segue la politica di John Maynard Keynes, non farebbe mai una cosa del genere. La crescita di questo disavanzo anche negli anni ‘80 non fu l’esito di politiche neo keynesiane. Il problema del disavanzo pubblico era noto a tutti in quegli anni. Ma tutti fecero finta di non vedere. Gli unici, per amor del vero, a denunciare questo stato di cose furono i radicali, guidati da Marco Pannella. A tal proposito, il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi scrisse:
Non si può parlare di un'applicazione della teoria economica keynesiana. Difatti, chi segue la politica di John Maynard Keynes, non farebbe mai una cosa del genere. La crescita di questo disavanzo anche negli anni ‘80 non fu l’esito di politiche neo keynesiane. Il problema del disavanzo pubblico era noto a tutti in quegli anni. Ma tutti fecero finta di non vedere. Gli unici, per amor del vero, a denunciare questo stato di cose furono i radicali, guidati da Marco Pannella. A tal proposito, il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi scrisse:
“In nessun altro paese industrializzato i disavanzi pubblici hanno mantenuto per così lungo tempo dimensioni tanto ingenti come in Italia. I problemi posti dall’interazione tra debito accumulato e disavanzi ripetutamente elevati si fanno pressanti”.
Che amara delusione! A
ben vedere, questa “ragione” assomiglia assai ad un pretesto di ordine
diverso. Perché mai dei governanti abituati a spendere e a spandere,
accreditandosi presso l’elettorato come dei veri e propri benefattori,
avrebbero dovuto rinunciare al migliore dei privilegi? In altre parole,
se avessero fatto diversamente, si sarebbero scavati la fossa con le
loro stesse mani, dato che il monopolio del consenso, passava (e passa
ancora) proprio attraverso l’elargizione di favori e prebende pagate col
debito…
La “responsabilità” dei politici
nell’arco di 150 anni non si era mai vista, soprattutto nei confronti
del Sud-Italia, dove fu attuata una fiscalità di rapina. Tutta una
serie di tasse e balzelli, fino ad allora pressochè sconosciuti, furono
allora introdotti facendo passare il Regno delle due Sicilie
dalla categoria dei paesi a imposte lievi a quella dei paesi a imposte
esorbitanti; imposta di ricchezza mobile, tasse di registro e bollo.
tasse giudiziarie, successione, fondiaria, ecc.
Oggi, nonostante il crescente debito pubblico, i politici continuano imperterriti sulla strada dello spreco, elargendo favori a destra e a manca per alimentare il consenso ed assicurarsi la rielezione. Per questo motivo, si è resa necessaria la separazione tra il Ministero del Tesoro e la Banca Centrale. I politici hanno reagito in malo modo, incoraggiando (direttamente o indirettamente) correnti di pensiero che infondessero sfiducia nelle Banche Centrali.
Una di queste correnti è quella legata al Signoraggio Bancario. Su questo argomento si sono dette e scritte tutta una serie di corbellerie che ad elencarle tutte ci vorrebbe una vita. Lo stato si indebita perchè spende troppo rispetto alle sue entrate. La cosa è abbastanza semplice ma per ovvi motivi tutti preferiscono credere a tesi di complotti immaginari che hanno il solo effetto di continuare a deresponsabilizzare una classe politica incapace e, soprattutto, ad illudere i coloro che - credendo di essere più furbi degli altri - fanno proprie le tesi complottiste.
In realtà -
senza troppa pubblicità - la stessa Banca d'Italia riconosce e definisce il Signoraggio Bancario.
Conclusioni
Il
Ministero del Tesoro e dell'Economia sarebbero perfettamente in grado di
gestire tutti i processi concernenti l'emissione monetaria. Inoltre, l'Istituto
poligrafico dello Stato detiene già da tempo la cultura e le
specializzazioni richieste in tale materia". Su questo non c'è alcun dubbio. Per tali motivi, tutti si chiedono il motivo per cui non sia lo Stato a controllarne l'emissione. Il problema - evidentemente - non è relativo alla competenza...
Il motivo principale di questo diniego - occorre ripeterlo - sta nel fatto che la politica - senza l'ausilio di un'autorità esterna - praticherebbe un'emissione monetaria incontrollata, svalutando la moneta ad libitum e causando altresì un aumento dei prezzi.
Tutti ricorderanno la nefasta esperienza vissuta durante la Repubblica di Weimar in Germania dove per fare la spesa occorrevano carriole di marchi.
Tutti ricorderanno la nefasta esperienza vissuta durante la Repubblica di Weimar in Germania dove per fare la spesa occorrevano carriole di marchi.
La stampa illimitata di banconote è infatti il desiderio segreto di tutti i politicanti spendaccioni che, in tal modo, potrebbero dar corso a tutti gli sperperi che quotidianamente mettono in pratica, senza soluzione di continuità.
Collocare nelle mani dell'esecutivo la stampa della moneta andrebbe contro il principio economico della "rarità monetaria", oltre che contro il principio democratico della divisione dei poteri. Infatti chi propone un ritorno alla sovranità monetaria vagheggia teorie cospirazioniste volte al controllo del mondo attraverso l'emissione monetaria. Il tutto, con la irresponsabile complicità dei politici. In realtà le cose stanno assai diversamente. La moneta, in vero, per essere valida deve essere scarsa. L'abbondanza di moneta è foriera di enormi processi inflazionistici, tanto che in tali casi si parla di iperinflazione.
Non esistono, dunque, soluzioni miracolose per scongiurare la crescita esponenziale del debito pubblico. L'unica soluzione da adottare è quella che attuerebbe ogni buon padre di famiglia: spendere in proporzione alle entrate. Nulla di più.
© ♔Pier Luigi
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