sabato 7 giugno 2014

Le Radici Giacobine dei Totalitarismi

Stalin_Hitler_photomontage   La maggior parte del pubblico si è stupita di fronte all'avvicinamento tra Stalin e Hitler. Ci si sarebbe stupiti meno se si fosse mantenuta una visione d'insieme degli avvenimenti di questi ultimi venti anni che, da Brest-Litovsk (1) fino ai recenti incontri di Mosca passando per Rapallo, il proseguimento della politica di Rapallo (2) dopo I 'avvento di Hitler e l'immobilità di Stalin dinanzi ai fatti di Monaco, offrivano segni certi. E ci si sarebbe stupiti ancor meno se si fosse prestata più attenzione agli elementi comuni nella genesi e nelle strutture dei movimenti e degli Stati totalitari, quale che sia il loro colore: rosso, bruno o nero.
   Certo si sono sottolineate spesso le affinità tra bolscevismo, hitlerismo e fascismo; ma non si è mai spinto a fondo lo studio fino ad afferrare il vero principio di questa comunanza di caratteri.
   Quando si decide veramente di intraprendere questa ricerca, si scopre che se questi movimenti  e regimi sono così vicini gli uni agli altri ciò è dovuto al fatto che essi hanno una provenienza comune: derivano tutti dal giacobinismo.
   Sì, il legame profondo tra i regimi tedesco, russo e italiano di oggi consiste in questo, che essi discendono tutti in linea diretta dal precedente francese del 1793.
   Ecco ciò che stupirà alcuni spiriti, ma in ogni caso non gli spiriti storici. Ché questi ultimi sono abituati, almeno quando hanno anche spirito filosofico, a non fermarsi alle diversità superficiali che presenta I 'attualità, ma a seguire
i legami profondi delle cose. In queste profondità essi vedono che lo spirito e la forma essenziale di certe istituzioni si propagano attraverso regimi lontani nel tempo e separati solo da apparenze senza importanza.
   I più stupiti e i più scandalizzati da questa tesi saranno gli hitleriani e i mussoliniani, che hanno mosso le critiche più aspre al 1789 e che hanno preteso rompere completamente con quella eredità.
Ma il 1789 non è il 1793. L'89 tu liberale, sebbene abbia ceduto il posto, almeno per qualche tempo, al'93, che fu  giacobino e totalitario.
     E ciò che occorre far notare subito anche ai democratici francesi, che saranno non meno disgustati da questo accostamento. Anch'essi hanno dimenticato la distinzione tra 17891793. Ciò è comprensibile dato che, come abbiamo dimostrato altrove, non essendo stata guidata da una concezione sufficientemente chiara del liberalismo, la prima rivoluzione del 1789 degenerò subito nell'autoritarismo, e in tal modo essa condusse logicamente verso la seconda rivoluzione del 1793, totalitaria. Inoltre nei regimi del XIX secolo (Restaurazione, Monarchia di Luglio e Terza Repubblica), che cercavano di ispirarsi al 1789 piuttosto che al 1793, le tendenze inveterate del 1793, fissate dalle istituzioni imperiali, sono sempre riapparse e hanno sempre impedito che si stabilisse in Francia un regime decisamente liberale come in Inghilterra.  In tal modo la democrazia francese presenta uno strano groviglio di pratiche liberali e di pratiche autoritarie e sotto l'apparente libertà e anche licenziosità dei costumi politici si vede sussistere un apparato quasi dittatoriale, che si rimette a funzionare per così dire automaticamente in caso di scompiglio interno o di pericolo esterno.
   Non è men vero che anche in coloro che si credevano fedeli o indulgenti al ricordo del'93 gli autentici caratteri della rivoluzione e del governo dei Giacobini sono talmente deformati ed edulcorati, che si spiega molto bene l'incapacità nella quale si trovano oggi loro discendenti francesi di riconoscere come cugini i rampolli  feroci che la storia ha dato, fuori della Francia, ai  "grandi antenati".
Tentiamo la dimostrazione.

Quali sono i caratteri principali del rodimento giacobino che nel 1792 spazza va tutti gli elementi del liberalismo in gestazione?
  1. Si concepisce ana dottrina sommaria che si presenta al popolo ridotta ad alcune parole d'ordine ancora più sommarie, brutali. L'essenziale della dottrina giacobina consiste semplicemente in ambito politico nell'autogoverno del popolo, in ambito sociale ed economico nell'abolizione  dei privilegi, in àmbito religioso nella separazione della Chiesa dallo Stato, nei rapporti con l'estero nella guerra ai re e ai privilegi degli altri paesi.
    Per il popolo le celebri massime, affisse dappertutto. proclamate ovunque, sono queste:
    "Sovranità della Nazione - La Libertà o la morte - Gli aristocratici alla forca - Tutti i tiepidi sono dei sospetti - Arresto e massacro dei sospetti".
    E  precisamente e perfettamente ammesso che la diffusione di questa dottrina in tutta la nazione possa e debba essere assicurata attraverso tutti i mezzi violenti e intorbidatori.
  2. Per le necessità di questa propagazione si inventa, se non la teoria, almeno la pratica di un partito unico, che ricopra tutto il paese, che investa tutta la nazione, che penetri e sorvegli ogni villaggio e ogni città in tutti i loro quartieri.
    La Società dei Giacobini con le sue innumerevoli succursali costituisce di fatto il partito unico che assume l'investitura ufficiale e che persegue e annienta quanti potrebbero costituire altri partiti, o quanti, nella società stessa, sono considerati dissidenti. Robespierre e il Direttorio moltiplicano le "purghe".
  3. Il raggiungimento del potere avviene per mezzo di una spinta plebiscitaria estremamente violenta e al tempo stesso estremamente  vaga, indeterminala, sospetta, torbida quanto alle forme impiegate per esprimerla. L'essenziale dell'operazione si compie a Parigi e in  qualche grande città attraverso l'instaurazione
    spontanea, imprevista - dunque illegale – di una Comune. In realtà si tratta di un gruppo di uomini armati estremamente ristretto – qualche migliaio - che con minacce e pressioni continue, con sommosse, manovra l'assemblea eletta, le impone risoluzioni e condanne e condiziona la nomina dei governi.  Si agita l’idea dell’autogoverno del popolo, il governo della nazione da parte di tutta la nazione; ma nell’immediato il corpo politico altro non è che questo partito unico dei Giacobini. Il.quale  partito unico obbedisce esso stesso ciecamente ad alcuni capi che non si stanca mai di trasformare in dittatori. Marat è stato il primo a porre apertamente nella politica europea moderna il principio della dittatura.
    Nella seduta del 25 settembre 1792, questo cosmopolita nato da padre sardo e da madre  svizzera, proclama dai podio: “Io credo di essere il primo scrittore politico, e forse il solo in Francia dopo la Rivoluzione che abbia proposto un dittatore, un tribuno militare…”  Negli anni che vanno dal 1789 al 1793 si passa da una prima deformazione del suffragio universale, la dittatura dell’assemblea ( questa aristocrazia come la chiama Saint Just) a una seconda deformazione, la dittatura del Giacobini nell’assemblea, e quindi a una terza, la dittatura dei capi dei Giacobini ( già dittatori nel Comitato di Salute pubblica. Dittatura che si rinnova nel direttorio e non cede il posto che alla dittatura definitiva di Bonaparte.
  4. La dottrina nazionale assume due aspetti decisamente contraddittori, ma non meno decisamente legati nello spirito dei primi adepti (come nello spirito di tutta la nazione che vi si sottomette: una dottrina che resta profondamente nazionale e sottomessa agli interessi della nazione, e che nello stesso tempo si propone
    all'esterno come internazionale e suscettibile di una adesione universale. In una parola, la dottrina di Stato è un fermento di imperialismo.
   Ecco presentati, in modo brutalmente sommario, i quattro caratteri evidenti del giacobinismo. Come non accorgersi del fatto che questi quattro punti si ritrovano in tutti i regimi totalitari dei nostri giorni?
Esaminiamo dapprima il regime russo, primo in ordine di tempo. Qui la filiazione giacobina non può essere messa in dubbio perché esplicitamente proclamata.
   Lenin, come prima di lui Marx, studia a fondo il regime giacobino e ne trae un metodo vivo, che mira all'essenziale e lo traduce in modi facilmente e prontamente adattabili. Stalin non ha fatto altro che confermare e fissare questi termini, come Napoleone ha fissato tutto quello che era d'uso sperimentato nell'armamentario giacobino. Lenin perfeziona il metodo giacobino, approfittando dell'esperienza e della riflessione di un secolo. Tanta riflessione e tanta
scienza, tuttavia, non si sono prodotte senza una buona dose di immoralità. In un colpo solo Lenin si trova in pieno cinismo e machiavellismo, là dove i Giacobini avevano impiegato qualche tempo a perdere le loro illusioni o ad ammettere le loro intenzioni
  1. Lenin ha dapprima costruito la dottrina, con la precisione e l'abilità che si possono trovare in un solo cervello quando questo è pregno di meditazioni incessanti sull'azione. Robespierre non sapeva che sarebbe stato Robespierre; Lenin sa che egli sarà Robespierre. Alcuni principi molto semplici presi in prestito dal marxismo per quanto riguarda la questione sociale, il quale marxismo deriva, è esso stesso a riconoscerlo, dalla punta estrema del giacobinismo, della (parola mancante). Per ciò che concerne il metodo politico, la teorizzazione della pratica giacobina e della pratica comunarda del IB7I, a cui Lenin aggiunge - fatto da sottolineare - certi prestiti dai teorici prussiani della guerra totale.  Bisogna leggere gli scritti salienti di Lenin come La malattia infantile del comunismo (3) o Lo Stato e la Rivoluzione (4) per vedere come ha saputo, apparentemente rispettando il gergo e la lettera di Marx, semplificare e rendere pragmatica la farragine dei dottori e dei casisti. E così che i Sanculotti minimizzando le sfumature e le esitazioni di Rousseau e di Montesquieu. Lenin non ignora le sottigliezze e la difficoltà della dottrina, ma passa oltre con la faciloneria di un Cromwell, di un Federico II o di un Bonaparte... Se non si può fare altrimenti si farà del  socialismo troppo presto e troppo velocemente. Se questo fallisce, si tornerà indietro e si farà la N.E.P. (5); per poi ricominciare in seguito con più energia.   E le parole d'ordine immediate sono: "la pace subito, ad ogni costo, a costo di Brest-Litovsk",per poi invadere, tre anni più tardi, la Polonia. E "il potere al consiglio degli operai e dei soldati", per poi spezzare più tardi, a Cronstadt, l'insurrezione permanente. E "la terra ai contadini per socializzare,in seguito,tutta la terra.
  2. Ha creato anticipatamente (nel 1903) il partito unico, dandogli subito una forma rigorosa Dittatura assoluta del capo sul suo consiglio e dittatura assoluta del capo e dei suo consiglio sulla truppa. Sin dai primi giorni della rivoluzione non rimane che applicare la dittatura assoluta del partito sulla nazione. Da quel momento la piramide è perfetta e dal vertice dell'assolutismo digrada per tre livelli fino agii ultimi ranghi della nazione. 
  3. Ha ridotto al minimo l‘istanza plebiscitaria. Niente elezioni generali. Consigli di operai e di soldati nelle grandi città, penetrati dal partito bolscevico che vi mette a capo i propri esponenti per acclamazione. In seguitò avranno  luogo le elezioni, ma completamente truccate dalla dittatura del partito. Tutte le autorità del paese dipenderanno dal partito. 
  4. La dottrina dell'Internazionale è la dottrina del partito e dello Stato. Il Komintern sarà, nelle mani dell'egoismo nazionale russo, uno strumento d'imperialismo senza uguali, come non è mai stato nemmeno il papato nelle mani di una famiglia italiana.
    In Italia, in Germania, la ripetizione di queste caratteristiche ci appare monotona. E tuttavia l'ignoranza e l'oblio dei modelli l'hanno fatta apparire sorprendente. Ma ci sono alcune sfumature da segnalare.
Dapprima l'Italia.
pnf Anche Mussolini ha creato un partito unico e i rudimenti di una dottrina di Stato, ma nel mezzo del combattimento, che lo sospinge e lo obbliga a improvvisare come i Giacobini. Mentre Lenin ha potuto stabilire agevolmente, in un colpo solo,la sua tirannia sulla strada spianata dallo zarismo (Duma (6) rinviata, Zemstvos (7) poco solidi), Mussolini aveva davanti a sé un regime parlamentare esistente, anche se truccato. Non lo distruggerà che progressivamente.  Così come non si libererà che progressivamente della S.D.N. (8).
   Complessivamente le rotture di Mussolini sono state più lente e meno rigorose, meno definitive di quelle di Lenin - e anche di quelle Ci Hitler" Ritorneremo su questo punto. Notiamo subito che Mussolini non ha rotto con la religione come Lenin, né perseguitato la Chiesa come Hitler coi principi del liberalismo. Ha soppresso il Parlamento, ma ha creato la Camera delle Corporazioni, ii Gran Consiglio Fascista, ha mantenuto il Senato. Ha così assicurato
la possibilità del ritorno alla mediocre routine dei tempi normali in caso di scomparsa del suo insostituibile genio. La storia non produce spesso nello stesso luogo due uomini di genio uno dopo l'altro. Mussolini ha anche conservato una certa prudenza nello sdoppiamento del fascismo nazionale in universalismo di propaganda internazionale.
Rimane non meno vero che egli ha spinto il principio del partito unico verso le sue più terribili conseguenze, poliziesche, omologanti, meccanizzanti.
 hitler  Passiamo alla Germania.
   Hitler è stato molto più veloce e più forte di Mussolini. Effetto del temperamento tedesco, meno flessibile, più brutale del temperamento italiano, più amante delle conseguenze estreme, che si rivoltano, secondo una dialettica tragica,  contro il loro punto di partenza? Effetto della vicinanza con la Russia? C'è non poco di slavo nel tedesco e la pressione del vicino comunismo ha prodotto una reazione della stessa intensità c di carattere del tutto omologo.
   Hitler, a differenza di Mussolini, ha avuto tutta la libertà, come Lenin, di preparare i suoi strumenti: partito e metodo. Non ha soppresso il Parlamento, ma ne ha truccato I' elezione come hanno fatto Lenin e Stalin. Attualmente il sistema elettorale è lo stesso nei tre paesi totalitari: dei candidati proposti alla nazione dal partito unico al quale si può solamente dire: no. E sempre il vecchio principio giacobino: "Nessuna libertà ai nemici della Libertà". La Convenzione non fu eletta che da collegi elettorali rarefatti dalla paura, e durante il Terrore non vi siederanno in media che 200 o 300 rappresentanti su 750.
   Hitler è stato in tutto ai tre quarti delle estremità di Lenin e Stalin e questo lo ha portato più lontano di Mussolini. Il suo Fronte del Lavoro ha spezzato più irrimediabilmente la vita sindacale di quanto abbia fatto il corporativismo
di Mussolini. Ha imposto lo statalismo in modo più veloce e più forte in ogni settore. Ha quasi rotto i rapporti con le chiese. La sua polizia è stata più assoluta.
   Ciò che occorre soprattutto sottolineare è che la sua rivoluzione è stata operata con una specie di perfezione matematica. Dopo una maturazione di dieci anni, andando più veloce di Mussolini,.ha potuto essere più sicuro e più
puntuale. E possibile osservare qui l'effetto del concatenamento di antecedenti che cerco di evidenziare in questo articolo. Dai Giacobini ai Bolscevichi c'è già un gran progresso sulla via della rapidità e dell'efficacia; per certi aspetti
anche Mussolini approfitta della velocità acquisita, ma piuttosto per aumentare la sua flessibilità che la sua forza fragorosa; è Hitler che approfitta della messa a punto" Ritroviamo il modo di procedere documentato dei Tedeschi. In ogni caso si arriva alla perfezione del genere, al capolavoro; forse anche a quel carattere mostruoso delle opere d'arte ultime che annuncia una decadenza prossima. Ma sono forse sofisti quelli che vedono in Michelangelo  l'inizio della fine?
Dopo questo sguardo retrospettivo non sarà certo difficile comprendere come Hitler e Stalin si siano avvicinati e Mussolini non si sia separato in modo decisivo da Hitler quando quest'ultimo si è avvicinato a Stalin. Sarebbe comunque un errore credere che dal momento che i due regimi nazional-socialisti e quello comunista hanno interrotto in una certa misura la lotta tra le loro propagande, le loro immagini pubbliche possano fondersi o confondersi.
   I due regimi continueranno a distinguersi per effetto, oserei dire, di una identica proprietà: l'impermeabilità. Una impermeabilità garantita dal rigore dell'egoismo nazionale sul quale sono fondati e sulla feroce disciplina poliziesca che li corazza. Uno stato totalitario è altrettanto chiuso con i suoi amici che con i suoi nemici, per questo può più facilmente cambiare gli uni e gli altri. L'Italia può aprirsi e chiudersi due o tre volte di seguito all'influenza tedesca.
La Russia può fare altrettanto. Uno Stato totalitario è egoista e disponibile come un monarca disincantato del XVI secolo, come un Federico II o una Caterina II.
Possiamo spingere più lontano le nostre osservazioni. Non si possono comprendere delle somiglianze di struttura così precise se non attraverso somiglianze di principi. Scopriremo, in effetti, che l'identità del contenuto è comparabile a quella del contenente.
C'è, tutto sommato, la stessa filosofia, la stessa concezione della vita e del mondo, nei Giacobini, nei Bolscevichi, nei Fascisti e nei Nazisti.
Stessa fede, stesso fanatismo. Fede e fanatismo fondati sugli stessi postulati. Fede esclusivamente terrena, esclusivamente laica.
    Per i totalitari di oggi come per quelli del 1793 non può esserci altra fede che quella politica. La religione è relegata all'ultimo posto delle preoccupazioni umane, quando non è completamente esclusa. Hitler invoca un Dio altrettanto vago e altrettanto funzionale al suo progetto che quello di Robespierre. Stalin lo nega come hanno fatto certi giacobini estremisti. Mussolini tratta con molto  tatto la Chiesa cattolica come la trattava Napoleone.
    Fascisti e hitleriani credono, come i marxisti diventati staliniani, che tutta l’attività interiore ed esteriore dell’uomo debba essere impiegata per la sua salvezza terrena, per una costruzione sociale e politica. Il loro idealismo si manifesta solo nei prodighi sacrifici per la conquista del regno terreno.
Di conseguenza il loro atteggiamento è altrettanto diffidente nei confronti di ogni religione costituita, di ogni Chiesa. Essi ne temono e detestano gli appelli verso l’aldilà, la pretesa di contestare allo stato la presa sulle coscienze, l'offerta d'altre forme di dedizione oltre a quelle dovute allo Stato.
    In definitiva, si può constatare che il fascismo (nonostante il suo desiderio di conservare i vantaggi che assicura a ogni potere italiano l'aspetto italiano della Santa Sede) e l'hitlerismo  (nonostante la velleità, che fu forse passeggera, di distinguersi sotto questo aspetto dallo stalinismo) sono nelle loro tendenze profonde e nei loro fini ultimi laici, anticlericali, anti-cristiani, atei come lo stalinismo e come un tempo il giacobinismo.
   E di fronte alle loro recenti imprese si può constatare che l'umanità si trova molto vicina a una situazione che forse non ha mai conosciuto prima.
    Prendiamo l’Antichità. Non parlo dell’Antichità primitiva della quale gli scienziati cominciano  ad avere una conoscenza molto profonda ma che non hanno ancora saputo divulgare né presso il pubblico comune né presso l'élite letterata. In questa antichità primitiva, la religione è la vita stessa, ogni atto umano è un atto religioso. Prendiamo l'Antichità classica. Contrariamente a quanto ripetono gli ignoranti, non c'era fusione completa tra Stato e Spirito. Dapprima la religione, non essendo codificata e concentrata in Chiese perfettamente delimitate, sfuggiva per la sua fluidità alle prese dello Stato. C'erano cento religioni e nessuna Chiesa. Tutto era dinamico: dogmi, riti, clero. Al di là di  certi elementi di una religione di Stato, a Roma pullulavano religioni nazionali, o che avrebbero
dovuto essere nazionali, più o meno adattate le une alle altre, più o meno mescolate, e c’erano le sette, allo stesso tempo conosciute e segrete, le religioni del mistero. L’umanità dell’Impero aveva dunque una certa facoltà di equilibrio tra va religiosi. Essa poteva difendersi con gli uni contro gli altri e con questi contro quelli. Questo è ancora più evidente nel Medio Evo, durante il quale i popoli d'Europa beneficiarono dell'impotenza di ciascun concorrente - il Papato e I 'Impero - ad assorbire l'altro. Contro I 'ombra dell’uno si poteva trovare rifugio nell'ombra dell'altro.    Naturalmente c'è l'esempio del Basso Impero, la teocrazia della Roma del IV secolo, che è a continuata a Bisanzio per mille anni.
Tutti questi sistemi, avendo divelto il parapetto della religione o, in mancanza di essa, della filosofia indipendente dalla religione, vengono trascinati verso la stessa discesa vertiginosa lungo la china dell'immoralità. Non riconoscendo dei limiti extra-umani, in essi l'umano si disgrega rapidamente. perché l’umano non è umano che quando è legato al divino; separato dal divino ridiscende, verso l’animale, al quale si era sottratto sollevandosi al di sopra di se stesso e ponendo al di là della propria portata gli ingranaggi più delicati e più necessari della sua attività.
Alla prima applicazione, la morale dei Giacobini si mostra terribilmente pragmatica. Appena giunti al potere non disdegnano l'uso di ogni astuzia e violenza dell'ancien régime, abbandonando quella condizione d'animo che precedentemente garantiva la presenza di certi principi - spesso violati ma mai negati. Fu così che subito dopo avere dichiarato la pace al  mondo i Giacobini gli dichiareranno guerra e per ventitré anni calpesteranno senza vergogna tutti i popoli dell'Europa col pretesto di portare loro un migliore sistema filosofico, politico e sociale.
     Il decadimento della morale libera in pragmatismo e del pragmatismo in cinismo è ancora più rapido per i Russi, i Tedeschi e gli Italiani di oggi che per i Francesi di ieri. Tutte le alleanze sono buone e così tutte le rotture. L'amico di oggi sarà il nemico di domani, e il nemico di domani sarà l'amico di dopodomani.
   E stupefacente vedere, d'altro canto, come Federico II, che attinge la sua filosofia alle stesse sorgenti dei Giacobini, si mostri loro precursore nell'azione risoluta. E col cinismo di un Federico II che la Convenzione sfrutta le brame prussiane sulla Polonia per firmare la pace con il successore cli Federico nel 1795. E con lo stesso cinismo che essa prolunga la sua occupazione delle province renane, dei Paesi Bassi e dell'Italia.
   Bonaparte non dovette aggiungere niente all'insegnamento ricevuto da Federico, dalla Convenzione e dal Direttorio. Ma egli giunse a scandalizzare il rappresentante accanto a lui dell'Ancien. Régime, Talleyrand, il quale era sì un perfetto cinico in tutto, ma aveva conservato della vecchia Europa il senso della moderazione, senso al quale, dopo tutto, anche Federico II si piegherà verso la fine, come avrebbe voluto fare Luigi XIV.
   Dal primo momento Lenin mostra la misura del suo machiavellismo, erede dei Giacobini, firmando Brest-Litovsk e poi gettandosi sulla Polonia.
   Rapallo non fu che una conferma di una condizione di spirito già bene indicata. E il patto di questi tempi (9) non è che una prova in più quasi superflua.
   Allo stesso modo Mussolini si affretta, poco dopo il suo avvento, ad intendersi coni Sovietici.
   Ne va della politica interna come di quella estera. I Giacobini non hanno mai conosciuto altro punto di vista che quello della polizia più segreta e più brutale, e Fouché ha consegnato a Napoleone uno strumento pronto all'uso. Tchéka o Guépéou, Gestapo o Ovra non hanno fatto altro che riutilizzare la ricetta messa a punto da Fouché, ripresa sotto il secondo Impero.
  Se la morale politica è la stessa, i risultati sociali sono identici. Vige sempre e dappertutto la stessa omologazione. Se i Giacobini hanno distrutto l'aristocrazia, i bolscevichi hanno fatto di meglio, e Hitler e Mussolini non si preoccupano tanto delle macerie che hanno trovato e che hanno potuto utilizzare per arrivare al potere.
   Oggi in Germania e in Italia, come in Francia ai tempi del terrore, si è trovato il pretesto dell'economia di guerra, sorella inevitabile dell'economia rivoluzionaria, per abolire i beni accumulati col lavoro o ereditati.
   Si distrugge così, con ii peggio del capitalismo, anche il residuo meno malvagio dell'economia patriarcale, che sosteneva le possibilità della cultura e dell'indipendenza dello spirito.
Allo stesso modo è annientata ogni economia delle istituzioni spirituali (chiese, università, accademie, ecc.). Così si arriva alla distruzione di ogni élite particolare.
   Non ci sono più risorse per lo spirito che in un conformismo assoluto.
   Resta da sapere se tutto questo non sia inevitabile... Proferire queste parole significa indicare l'ipotesi della decadenza dell'Europa,
ipotesi che non può apparire in un così breve scritto che come sfondo.
   Se i Francesi prendessero coscienza di questo insieme di fatti, per quanto tardi sia, non potrebbero vivificare le loro riflessioni in modo  decisivo?
Bisogna prendere atto della divisione dei Francesi, che si raggruppano in obbedienze diverse: Action Francaise, repubblicanismo nazionale, repubblicanismo radicale, socialismo e ... comunismo.
   È certo che i maurrassiani non possano essere stupiti dalla tesi qui presentata sulla filiazione giacobina del fascismo. Essa è inclusa in tutti gli insegnamenti di M. Charles Maurras. Credo che non l'abbia mai espressa in una forma  altrettanto rigorosa per due ragioni La prima è che con molta prudenza e precisione egli ha sempre voluto conservare un'attenzione particolare agli elementi che nel fascismo italiano potevano andare in una direzione diversa da quella dell'eccesso giacobino" Maurras non è certo stato I' ultimo a percepire quel che c'era di maurrassiano o di consanguineo al maurrassianesimo in certi affluenti del fascismo.
Ai primi fascisti violenti, nati nelle strade, si erano uniti dei monarchici nazionalisti dell'Idea Nazionale, la cui parentela con I'Action Francaise era evidente. A causa di tutto questo Maurras non ha mai potuto o voluto riconoscere l'importanza della filiazione diretta tra istituzioni giacobine e istituzioni fasciste, che io qui sottolineo, e la violenza di rottura che essa genera. D'altra parte nell'hitlerismo, M. Maurras non individua che tratti decisamente tedeschi.
Ma non attribuisce egli forse una origine tedesca al giacobinismo, al totalitarismo francese?
Maurras è solito risalire alla Riforma per mostrare la genealogia dall'89 al '93' Se io volessi seguirlo dovrei constatare che nell'eredità che i Nazisti hanno inconsciamente ricevuto dai Giacobini essi non hanno fatto altro che ritrovare ciò che era loro proprio.
In ogni caso la prudenza del tradizionalista Maurras nella considerazione del regime rivoluzionario italiano si fonda su fini osservazioni che hanno il loro peso. Io stesso ho sottolineato poco fa le differenze di grado tra il metodo di Mussolini e quello di Hitler. Potrei insistervi più lungamente e mostrare tutto ciò che separa i due regimi. Credo che una sintesi brutale come quella che ho qui costruito sia necessaria per aprire le menti, ma essa può essere utile solo se sorretta e corretta dall'analisi. Per cominciare non bisogna dimenticare il fatto irriducibile della vita, che sulla stessa linea crea unità perfettamente autonome; sullo stesso ramo ogni fiore è indicibilmente particolare. E certo che l'Italia fascista, con la sua struttura corporativa precisamente e finemente determinata, la sua organizzazione politica che non esclude al disotto e attorno al dittatore temporaneo dello Stato diverse istituzioni di appoggio e di garanzia nell'avvicendamento al potere: la Corona per cominciare, il Senato e il Grande Consiglio Fascista, mostrano una solidità di struttura costituzionale e istituzionale che non può che ritardare, smorzare o correggere gli impulsi rivoluzionari dai quali, per altro, essa è animata e virilizzata. E poi c'è il genio italiano. Tutto questo distingue nettamente il totalitarismo 50 fascista da quello nazional-socialista. Anche tra quest'ultimo e quello comunista c'è, ad una scala inferiore, una soluzione di continuità che concerne la persistenza di una forza tradizionale dal lato tedesco. Non è un  aspetto di poco conto che Hitler non abbia fatto tabula rasa in un solo colpo, come i Bolscevichi o i Giacobini. Per ritornare alla sezione maurrassiana dell'opinione pubblica francese, dobbiamo ancora domandarci a cosa valgano le deduzioni per l'avvenire a partire dalle presenti constatazioni.  Maurras conta sull'Italia e soprattutto sulla vittoria franco-inglese per riportare la Germania alla misura. Egli vuole dividere la Germania in più Germanie e poi, come nell'Austria ristabilita alla testa del suo vecchio impero danubiano, fare rivivere le forze tradizionali, monarchiche, aristocratiche che egli pensa dovrebbero essere, là come da noi, generatrici di saggezza e di pace. Ci si domanda se queste vedute non siano vanificate anticipatamente dal corso degli avvenimenti europei.  I democratici francesi, siano essi nazionalisti o radicali o socialisti, dovrebbero certo rivedere completamente i loro punti di vista sulla realtà e l'attualità dell'Europa.
   Senza questo cambiamento essi sono condannati, oggi come ieri, a non comprendere gli avvenimenti che si svolgono in Europa e nei mondo dopo l'Ottobre 1917. Se essi si accorgessero della filiazione mostrata, sarebbero meno portati ad attribuire un carattere accidentale a ogni nuova manifestazione dell'attività totalitaria in Europa. Cos'è un accidente che dura più  di venti anni, che dura un quarto di secolo, e che si rinnova in paesi diversi? I nostri democratici, che da venti anni tutte le mattine sperano di sbarazzarsi del totalitarismo contando sul trapasso fortuito di Mussolini o di Hitler, ci fanno pensare a quei sostenitori dell'Ancien Régime che hanno atteso tutti i giorni per un secolo o due I' evaporazione dell'incubo dell'89 e che, ancora oggi, parlano dell'89 come di una malattia. Cos'è una malattia che festeggia il suo cento cinquantenario, che si confonde con la vita di un popolo? Tutto ciò ci ricorda quell'adagio della medicina che afferma: "la malattia è lo stato stesso della vita".
   Tuttavia non mancheremo di pensare che uno Stato politico durato centocinquanta anni (a dispetto delle interruzioni e delle alterazioni) deve ben essere pronto a rinnovarsi. Né nell'antichità  né nei tempi moderni una forma politica è durata più a lungo senza subire qualche metamorfosi. Se per il fatto stesso che è stata, questa forma lascerà delle tracce nelle forme che le succederanno, è non di meno vero che essa cederà loro il passo.
   Riportiamo queste conclusioni sull'ancor giovane totalitarismo. La morte di tal dittatore o la disfatta militare o politica del tal altro non aboliranno le cause che ne hanno prodotto una serie. Se queste cause non vengono rintracciate, il fenomeno sussisterà e minaccerà di riapparire. La dittatura è in questo momento in Europa e in tutto il mondo un'idra a cento teste. Queste cause i democratici le conoscono be ne, una a una e nei loro particolari. Le hanno denunciate una dopo I 'altra muovendosi a caso; ma essi non hanno mai saputo concepirle nel loro insieme, né soprattutto concepire e mettere in azione il trattamento di insieme che metterebbe loro fine.
   Mostrando la filiazione dei totalitarismi attuali dal vecchio totalitarismo giacobino, ne ho mostrato le radici morali e filosofiche profonde.
    Sono fermamente persuaso della necessità di rivedere tutto ciò che sussiste nello spirito europeo delle idee del XVIII secolo, divenute pregiudizi, per modificare e venire a capo del fato che ci incalza. Ancora una volta i totalitarismi contemporanei hanno preteso, l'uno, il rosso, superare, gli altri, il bruno e il nero, distruggere I' eredità del XVIII secolo – razionalismo superficiale, sentimentalismo facile che sfocia in un culto della memoria (10) romantico; ma ad una osservazione attenta ci rendiamo conto che queste pretese sono infondate.
   Del resto, a queste cause, queste circostanze morali che hanno cominciato ad agire alla fine del XVIII secolo in Francia, si sono aggiunte altre cause, altre circostanze. Per rimanere fedeli al nostro soggetto non possiamo che indicarle prima di terminare.
    Cause economiche... No, il termine è troppo ristretto, e molto pericoloso per la sua ristrettezza. Struttura dell'Europa. L'Europa non può più vivere secondo la vecchia struttura delle nazioni.
   Il Trattato di Versailles ha messo in movimento due principi contraddittori: il principio delle nazionalità spinto alle sue estreme conseguenze nel diritto dei popoli a disporre di loro stessi. Esso ha sacrificato tutto al diritto della lingua, senza tenere conto delle necessità che discendono dai luoghi e dai beni, vale a dire della geografia e della economia.
    D'altra parte esso ha proposto dall'alto il principio della Società delie Nazioni, sorta di abbozzo teorico senile che rispecchia le forme democratiche quali sono ancora conosciute in Francia e in Inghilterra. E questo principio si trovava in contraddizione latente con il primo. Coloro che hanno posto a Ginevra il principio dell'unione europea insieme al principio delle nazionalità presentivano, attraverso le categorie invecchiate del loro intelletto razionalista e
democratico, la necessità di risolvere una organizzazione autarchica inglobante non solamente l'Europa, ma anche l'Africa e il vicino Oriente - i problemi fondamentali delle materie prime e della disoccupazione.
   Ma non si risolvono grandi e nuovi problemi materiali senza rinnovare lo spirito. Non si (parola mancante) Ginevra con quello che è stato Io spirito di Ginevra. Non si rimedierà ai mali generati dalla filiazione giacobina restando prigionieri dei principi giacobini, da noi completamente degenerati.
Pierre Drieu La Rochelle

Note:
1) A Brest.-Litovsk il 3 marzo 1918 fu firmato il trattato di Pace con il quale la Russia chiuse la sua partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, rinunciando a Lavonia, Curlandia, Lituania, Estonia e Polonia e riconoscendo Finlandia e Ucraina come stati autonomi (N.d.C.)
2) A Rapallo fu sottoscritto il patto russo-tedesco del 1922, patto comprendente la rinuncia alle riparazioni di guerra e la ripresa delle relazioni diplomatiche. (N.d.C.)
3) Vladimir Ilic Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo (1920), in Opere complete, Editori Riuniti., Roma, 1971 (N.d.C.).
4) Vladimir Ilic Lenin, Stato e rivoluzione, (1917) Editori Riuniti, Roma 1970,
5) La Nuova politica Economica  voluta da Lenin per L’Unione Sovietica.
6) La Duma è il parlamento russo. [N.d.C.]
7)Creato nel 1864 dallo zar Alessandro II, L'istituto dello Zèmstvo era un'assemblea elettiva distrettuale che si occupava dell'amministrazione locale e della riscossione delle imposte. [N.d.C.]
8) Società delle Nazioni, organismo antesignano delle attuali Nazioni Unite. [N.d.C.l
9) Drieu La Rochelle si riferisce qui al patto di non aggressione tedesco-sovietico, detto patto Ribbentrop-Molotov,
firmato il 27 agosto 1939 dai due ministri degli esteri di Germania e Unione Sovietica. [N.d.C.]
10) L'espressione "culto della memoria" traduce il neologismo francese mémoralisme.[N.d.T.]

Testo Scannerizzato dal Testo: Pierre Drieu La Rochelle. Le radici Giacobine dei Tolitarismi, Bolscevismo, Nazismo e fascismo, a cura di Calogero Lo Re, Tabula Fati Edizioni.

domenica 1 giugno 2014

Rivalutazioni fraudolente, falsificazione dei bilanci, occulto contabile

Ormai, di fronte alla lapalissiana indifferenza del popolo bue, i Banchieri hanno le mani completamente libere per fare ciò che più gli aggrada, senza che nessuno osi proferir parola alcuna. 
Chi ha seguito i miei Web-logs sa che, viceversa, tutto è stato registrato prontamente, senza acribia, ma col solo scopo di far luce in una materia che, viceversa, risulta assai oscura. 

L'unico che ha messo il dito nella piaga è stato - come sempre - l'ottimo Marco Saba che è intervenuto persino presso l'assemblea dei soci Unicredit. Qui, di seguito, lo si può vedere mentre illustra il suo intervento alla trasmissione televisiva su LA7, "la Gabbia".




Ora, senza operare digressioni sul Signoraggio e la Banca d'Italia, che porterebbero il nostro discorso molto più avanti, perdendo però il nucleo centrale del discorso, possiamo dire, senza tema di smentita, che la Rivalutazione delle Quote della Banca d'Italia, appare come il palesamento parziale di una grandissima frode che prima era solo occulta. D'altro canto, questa frode è stata dichiarata tale anche da economisti e giornalisti di settore del tutto avversi alle teorie auritiane sul Signoraggio. Solo chi è "più realista del Re" può avvalorare una simile truffa. Ma, bando alle ciance, e veniamo ai fatti. 
Se andiamo a spulciare nei bilanci (falsi), troviamo che i partecipanti al capitale della Banca d'Italia (che sono Società PRIVATE!) hanno dei ricavi annuali. 
Fino all'anno scorso, ossia fino al bilancio relativo al 2012, i ricavi scaturivano da un calcolo assai complesso legato alle riserve. Ufficialmente,  questi ricavi si aggiravano a più di 70 milioni di € l'anno. In realtà essi possono variare e superare quella cifra.
Con la recente riforma dello Statuto e la sua truffaldina rivalutazione (lo ricordiamo la BANCA d'Italia dovrebbe essere degli italiani non delle Banche private!) è stato stabilito che i partecipanti, oltre a poter detenere quote non superiori al 3% del totale, possano godere al massimo del 6% del capitale! La Misura ha così aperto ad una parziale ufficializzazione dei proventi, suscitando altri dubbi nei benpensanti dell'economia attuale. 

In pratica ha scritto: state tranquilli, continuerete ad avere la vostra parte!

Il 30 maggio u.s. è uscita la relazione annuale della Banca d'Italia, a pagina 300 la quota "girata" ai quotisti (che sono dunque azionisti) è di ben 380 milioni di euro.. Non vi è alcuna equivalenza tra i flussi complessivi di dividendi calcolati con i criteri pre e post riforma!   Un aumento legale assai cospicuo che non va nella direzione auspicata di un Ente di diritto Pubblico ma che invece dimostra, se ancora ve ne fosse bisogno, che la Banca D'Italia non è un Istituto di Diritto Pubblico, ma un Ente Privato

Il fatto che i proventi dei partecipanti che prima detenevano le quote di capitale più grandi sono inferiori a prima, è un mascheramento. Infatti,  si tratta di un patto scellerato tra Stato e banche che si tradurrà in un ricavo

 Nel testo fraudolento attraverso  cui il Governatore  ha presentato la relazione annuale si legge:

 "I risultati dell’esercizio 2013 consentono di sottoporre all’Assemblea una proposta di ripartizione degli utili che, in aggiunta agli accantonamenti al fondo rischi generali, prospetta congrue assegnazioni alle riserve a fronte dei rischi connessi con la crisi".  

Ignazio Visco ha trovato così quella che a Napoli chiamano  "pezza a colore"!

Il Governatore dovrà spiegarsi meglio per giustificare la sua condotta  inadeguata al fine di giustificare l'aumento netto del 550% dei dividendi..
In fin dei conti sarà sempre la Banca Centrale ad avere l'ultima parola sui ricavi da distribuire! In ultima analisi l'ultima parola spetta al Governatore della Banca Centrale, vero e proprio deus ex machina, che deciderà quanto versare agli Istituti di Credito soci della Banca.
Per questo è oppurtuno rimuovere ogni dualismo e assommare i poteri di emissione in capo allo Stato, estromettendo i soci privati dalla gestione della politica monetaria.