Repliche Tradizionali alle tesi democratiche"di Pierluigi.
Lasciando da parte l'oziosa questione filologica (δῆμος (démos) e κράτος (cràtos) che aggiungerebbe altra carne a cuocere, vale a dire incomprensibili orpelli ai lettori, occorre passare immediatamente alla materia di cui si vuole trattare. Le parole hanno un senso per chi le comprende, per altri rappresentano una zavorra che finisce per appesantire e, dunque, complicare il discorso. Tuttavia, siamo consapevoli -in un certo senso- dell’impraticabilità della democrazia. Non si sta sviluppando quello che sembrerebbe essere il portato naturale di questa consapevolezza. Mi pare di notare, a differenza di Pierluigi, una forte ripresa dei temi democratici. Basta girarsi intorno per notare il "fiorire" di tutta una serie di conferenze e dibattiti intorno al tema. Questo dato di fatto - evidentemente - la dice lunga sullo stato di paura che sta invadendo le classi dirigenti. Questa constatazione - che è apparentemente contraddittoria - mi porta ad affermare che dovremmo parlare di democrazia non come una cosa inerente al diritto sociale, ma come un’aspirazione, poiché essa - in concreto - non s’identifica (né mai s’identificherà) con una realtà compiuta. Ma facciamo un passo indietro.
Breve Storia della Democrazia.
Il mondo antico romano ha avuto un'esperienza di élites molto
duratura, prima fra tutte veniva il Senato romano, nonostante le continue
proscrizioni e i gonfiamenti intenzionali (pensiamo ai 900 senatori nominati da
Cesare). Altro esempio era quello delle grandi famiglie ateniesi, nei due
secoli compresi fra Solone, iniziatore
del modello democratico, e la caduta di Atene nel IV sec.
A.C.
Nella Grecia antica la gestione della polis avveniva, di solito,
entro uno spazio pubblico delimitato, nel quale i cittadini più importanti potessero
discutere. Un esempio pratico era l'agorà in Grecia, o il forum della
Repubblica Romana.
Da un punto di vista etimologico, politica significa gestione
della polis, ovvero della comunità.
L’ambito fisico è stato sempre quello delle città. Secondo
Aristotele le dimensioni di una città non dovevano essere rilevanti.
L'ampliamento della cittadinanza ai non possidenti, che differenzia
nettamente il modello di governo ateniese da quello spartano, era intrinsecamente
legato alla nascita dell'impero marittimo ateniese. Impero che i "marinai democratici" concepivano come un universo di "sudditi"; cioè come popoli da spremere come limoni... Questo fatto sfata il mito secondo cui gli Ateniesi fossero più buoni dei cugini Spartani.
Il vincolo di solidarietà con gli alleati di Atene veniva considerato come l'allargamento del modello democratico alle città, dove dunque c'è una minoranza di possidenti che lo accettava e lo difendeva. Tuttavia, questo modello non era per nulla automatico né indiscriminato. Basti ricordare che la popolazione libera era di circa 30.000 maschi adulti, ma non più di 5000 parteciparono all'assemblea decisionale. A ogni buon conto, i problemi da esaminare dovevano essere discussi in modo diretto, con un certo grado di familiarità fra i cittadini stessi. Quindi, una città che avesse dimensioni modeste - non piccolissime però – era l’ideale. L’estensione della cittadinanza ai non residenti rappresentava un carattere molto preoccupante che allora poteva essere facilmente arginato,
mentre oggi è assolutamente preponderante e incontrollabile.
Il vincolo di solidarietà con gli alleati di Atene veniva considerato come l'allargamento del modello democratico alle città, dove dunque c'è una minoranza di possidenti che lo accettava e lo difendeva. Tuttavia, questo modello non era per nulla automatico né indiscriminato. Basti ricordare che la popolazione libera era di circa 30.000 maschi adulti, ma non più di 5000 parteciparono all'assemblea decisionale. A ogni buon conto, i problemi da esaminare dovevano essere discussi in modo diretto, con un certo grado di familiarità fra i cittadini stessi. Quindi, una città che avesse dimensioni modeste - non piccolissime però – era l’ideale.
Fin dall'antichità la democrazia era considerata come la forma di governo della
massa che ignora i suoi limiti, senza alcun valore degno di nota, egoista,
individualista, estremista, arrogante e instabile e perciò facile preda dei
demagoghi.
Era sì la democrazia un modello, ma un modello essenzialmente
negativo, una disgrazia insomma. Per dirla con Platone la democrazia era la
diffusione di quella libertà sfrenata ed arbitraria che nelle oligarchie è
appannaggio di pochi.
"La democrazia è il regime in cui il popolo ama essere adulato anziché educato. Un tal governo non si da alcun pensiero di quegli studi a cui bisogna tendere per prepararsi alla vita politica ma onora chiunque che si professa amico del popolo". Platone
Scena tratta da "I cavalieri" di Aristofane
A tal proposito occorre annoverare una celebre
commedia di Aristofane (i cavalieri), dove Due
servi del Popolo, disprezzano un terzo servo, Paflagone,
poiché quest'ultimo si è assicurato i favori del padrone con un comportamento
ipocrita e adulatorio.
Aristotele riteneva che la democrazia - come forma di governo - fosse
preferita dal popolo perché i poveri rappresentavano la maggioranza, e dunque
potevano aver facilmente ragione sui ricchi.
Scorrendo le pagine ingiallite dei libri di storia si scopre che la democrazia è piuttosto un mezzo: ma affermare che sia solamente tale è un errore grossolano. Farlo diventare un fine è forse - come vedremo più avanti - una necessità per i cosiddetti poteri forti.
Al popolo la democrazia viene perdonata...per il noto principio secondo cui "nessuno è sfavorevole a se stesso"... ma a un benestante essa nuoce gravemente, e non solo ai suoi averi...
Se si considera che un personaggio come Pericle
per un verso è giudicato da Tucidide come un personaggio che anti
demagogicamente guida il popolo e per converso da Platone come il corruttore
del popolo si coglie benissimo in questa contraddizione la difficoltà per gli
analisti e gli storiografi di sciogliere il dilemma: guidavano o erano
guidati?
Tucidide fa dire a Pericle nell'epitaffio che ad "Atene
governa la legge". E questo rende la democrazia diversa da tutti gli altri
sistemi. Senofonte, viceversa, nei "Memorabili" gli
fa dire il contrario. In democrazia - in ultima analisi - è la
volontà del popolo che conta al di sopra della legge. E comunque a ben
vedere è la forza della demagogia ad avere l'ultima parola!
Il concetto di Libertà
In primo luogo, occorre sottrarre il vago concetto di libertà
(libertà per, da, in, con, su, per, tra, fra) a quello incrostato di
"democrazia", per riportarlo alla sua origine precipua, attraverso
alcuni percorsi che s’intrecciano e si dividono in successione.
Vorrei ricordare (non solo a Pier luigi ma anche a
Tullia) che il concetto di libertà ha a che fare con una dimensione
individuale e non collettiva. Inizialmente, la parola "libertà", in
tutte le lingue indoeuropee, ha a che vedere con una crescita spontanea persino
dei vegetali e degli animali, con qualcosa che non è impedito naturalmente.
Mi piace inoltre mostrare l'idea di libertà come
conquista. Il poeta Tirteo cantava
che si è liberi solo se si è capaci di
sopportare il sangue e la strage.
Ciò rinvia a una radice biopolitica. In altre parole, la libertà è
assai rischiosa, tale che spetti solo agli eroi. Viceversa, merita di servire
chi per viltà o indifferenza vuole conservare la propria vita, anche a
discapito della propria libertà; oppure chi preferisce essere volontariamente
un servo, barattando i propri favori per ottenere un vantaggio materiale.
Questa di barattare la sicurezza economica con la libertà è una
dimensione che non è ancora scomparsa. Anzi, la ritroviamo, sotto svariate
forme, assai praticata anche oggi... magari in una forma del tutto
inconsapevole.
In tutta la tradizione antica, il diritto di guerra prevedeva una
sorta di apertura di caccia, per cui le città conquistate erano
messe a ferro e fuoco, le donne violentate o prese come schiave e gli uomini
abili alle armi uccisi. Secondo la Tradizione romana del "Parcere subiectis et debellare superbos" si assimila chi si sottomette e si uccide chi non lo fa.
Sul piano teorico si è discusso a lungo nell'ambito della filosofia su
questa dialettica servo-padrone e si è parlato pure del rapporto di signoria e
servitù. Quindi, in definitiva, la libertà non è per tutti; essendo
per molti un pericolo, il concederla non rappresenta una virtù, ma una colpa.
La situazione odierna
Oggi parlare di democrazia, essere democratici,
vivere la democrazia sono le argomentazioni classiche che quasi tutti i partiti
(anche quelli cosiddetti radicali) promanano a destra e a manca. Gli slogan sono quasi gli stessi: "Lavoro per tutti" (e
fin qui nulla da dire...), "più diritti per tutti", "più potere
al popolo" (qui qualcosina la direi...) più potere agli enti locali,
meno stato, più servizi ecc. Parole come
"libertà", "uguaglianza", "pluralità", sono oggi,
come non mai, sulla bocca di tutti i politici occidentali: ma qual è il margine
in cui il loro utilizzo retorico trapassa il lezioso esercizio demagogico e populista?
Siamo davvero convinti di vivere in una civiltà democratica, nel senso
etimologico del termine, di "governo del popolo"? Personalmente credo
di no. Il nuovo ordine mondiale assomiglia oggi a una Tecno-oligarchia. Qualcuno potrebbe sostenere che "il
vecchio stenta a morire e il nuovo stenta a nascere". Ma che
cosa stenta a nascere per costoro? Semplice: stenta a nascere la sopranazionalità,
cioè una democrazia sovranazionale. La Costituzione Europea è proceduta
attraverso un’iperproduzione di norme, procedure e una crescita dell’esautorazione
giuridica nazionale e, soprattutto, costituzionale. Il tutto a scapito della
volontà popolare. Intorno a questo sviluppo abnorme delle istituzioni comunitarie si sono sepolte le identità nazionali ed etniche e tradizionali.
Ciò evidentemente sposta il baricentro della
discussione in altro ambito che qui non esporrò.
In merito a quest’ultimo punto possiamo
sostenere, senza tema di smentita, che mai quanto oggi si sente parlare di
localismo e autonomie locali.
Oggi, proprio quando il centralismo non è mai
stato tanto oppressivo, si sente "stranamente" l'esigenza della
municipalità, dell'indipendenza, del regionalismo
e della federazione.
Cui prodest?
Nell’era odierna, fortemente urbanizzata, tutto
ciò è impraticabile. L’urbanizzazione rappresenta una mefitica aberrazione
della civificazione. Tale situazione ha reso inintelligibile la vecchia
dialettica che era presente fra la città e la campagna, inghiottendo la
“personalità” di quest’ultima, smembrandola e togliendole la sua antica
dignità. I ceti contadini sono stati i grandi sconfitti durante i processi di “modernizzazione
economica”. Tali processi hanno portato all’annichilimento delle tradizioni più
sane, costringendo all’esodo migliaia di persone che – obtorto collo – hanno
dovuto accettare lo sradicamento dal paese natio per affrontare la nuova
ventura nelle città.
Da questa spersonalizzazione dell’umanità la
città ha assunto un carattere tipicamente parassitario.
In tale ambiente si sono sviluppati i “germi”
anti tradizionali come l’individualismo, la perdita dei valori spirituali,
l’interscambiabilità dell’uomo con la donna, l'abbandono della terra natia, la
spersonalizzazione del lavoro, l’alienazione dell’uomo rispetto al mondo, la
riduzione dell’uomo a merce, a mero consumatore di prodotti. Ad accentuare
il discorso sulla crisi dei partiti tradizionali concorre un'altra tendenza fondamentale:
il declino della sovranità nazionale. Declino che sta conducendo all'evanescenza
dei confini territoriali entro cui le democrazie moderne sono state impiantate.
Se i confini delle entità statali vanno sfumando, le democrazie contemporanee
saranno costrette gioco-forza a trasferire tutti i loro poteri verso entità
sovranazionali, contraddicendo e negando qualsiasi specificità. Inoltre per
continuare nel loro cammino, i governanti "democratici" dovranno,
consegnare le chiavi delle loro casseforti (assets, beni pubblici, fonti di
ricchezza reali), nelle mani della finanza internazionale che, dopo averle
private della sovranità monetaria, passeranno all'incasso. Nel nuovo
contesto storico e tecnologico la perdita delle sovranità nazionali (che guarda
caso erano motivo di orgoglio e rivendicazione al sorgere dei primi stati
nazionali) adesso rappresentano un ostacolo sulla strada del Mondialismo
globale.
A questo devono aggiungersi le note
considerazioni circa il sistema applicato dalle Banche nei confronti dei
governi.
Aveva ragione Pound, quando asseriva che i
politici odierni sono solamente “i camerieri dei banchieri”. La crisi
Argentina è una delle tante palesi dimostrazioni. La sovranità politica
senza di quella economica è una falsa sovranità.
E’ fin troppo ovvio che fin quando le oligarchie
finanziare detteranno la loro legge, le cose non potranno che
peggiorare. La proprietà della moneta deve essere attribuita a chi
l’accetta, non a chi la emette, perché è lo stato che crea il valore monetario
e il lavoro del suo popolo ne certifica la validità e la proprietà.
Ma torniamo alla domanda: a chi giova tutto
questo?
E’ fin troppo evidente. Alle oligarchie
finanziare... a chi se no?
Allo smembramento degli stati nazionali seguirà la
creazione di piccoli stati regionali… i quali non avranno altra ragione se
non quella di “servire” meglio il Governo Mondiale. E' una questione
arcinota agli analisti della globalizzazione e della politica mondiale.
Credo che la convinzione generale di "essere
liberi" sia un’illusione, non più di quella sottesa alla molteplicità che è giocata nella
rete di Maya. Guardiamo ai fatti storici. L’Occidente è passato dalle punizioni
corporali e dal supplizio in piazza a forme di potere non coercitive, nel senso
che il dominio si esercita anziché sul corpo, sugli spazi e sull’Inconscio
Collettivo (che è comunque un topos). Michel Foucault descrive
molto bene il passaggio dal supplizio pubblico, esposto al generale ludibrio, -
ma anche a pericolose forme d’identificazione con il condannato- all’universo
privato della pena penitenziaria. (Se t’interessa ti consiglio di leggere
l’opera di M. Foucault: Storia della Follia nell’età classica,
Sorvegliare e Punire, nascita della clinica). Non si è trattato di
"garantismo" o di "umanesimo". Secondo Foucault, il
pubblico medioevale che assisteva in piazza alle torture finiva per
identificarsi con il condannato, e questo era molto pericoloso per il Re. Il
penitenziario ha essenzialmente lo scopo di rendere "privata" la
punizione, al riparo dei pericolosi meccanismi d’identificazione delle folle
(fenomeni proiettivi di questo tipo accadono anche ai nostri giorni, quando
molti giovani hanno la tendenza ad emulare la devianza, vedi il caso dei lanci
di sassi dai cavalcavia, o l’immaginario violento e guerriero degli hooligans).
Sostengo, d’accordo con Foucault, che noi siamo più "civili" delle
società che applicano la legge del taglione, non perché più illuminati, ma
perché grazie alle scoperte delle tecnologie mediatiche siamo riusciti a
passare dalla platealità ridondante dei pubblici supplizi, a un controllo
morbido – ma continuo – che si esercita a livello
sublimale.
Davvero siamo convinti che l’unico fine
dell’apparato pubblicitario sia quello di vendere i prodotti? Guardiamo alla
realtà: i media fabbricano i desideri e le opinioni. A cosa
pensiamo che servano ad esempio le scienze umane, come la psicologia e la
sociologia? Ad esercitare il controllo ossessivo ed ininterrotto dei
comportamenti sociali. L’uomo moderno è irreggimentato da codici di
comportamenti, che non percepiamo, perché colpiscono l’inconscio,
l’immaginario. Pensiamo ai "valori" mediatici che ci sono inculcati
fin dall’infanzia, il successo, la popolarità, ecc. Siamo codificati anche
nelle nostre (false) trasgressioni, che diventano un altro momento di
massificazione conformistica: lo avevano già insegnato i Greci con i Saturnali
e il ritorno alla Notte Cosmica, all’Indistinto Primordiale, dove tutto
ricomincia dall’inizio, e si annullano le differenze sociali. Quest’ossessione
collettiva per il sesso e la pornografia, le adunate di piazza (che si tratti
di curve del tifo o di Festivalbar), il mito della velocità e l’ebbrezza in
discoteca… I criminologi sanno benissimo che nelle metropoli è utile lasciare
delle "zone d’ombra", (di solito nelle periferie) per far si che
siano utilizzate alla catarsi delle pulsioni distruttive (eh sì, perché puoi "normalizzare" finché
vuoi, ma non puoi sublimare tutto…).
Mi permetto anche di proporti una chiave di
lettura diversa, da quella che hai fatto tua, al riguardo della presunta
estraneità alla cultura occidentale del nazismo e dello stalinismo. premesso che non condivido l’equiparazione
assiomatica del comunismo al nazismo, che era stata avanzata dal primo Nolte,
ma anche lui, ultimamente ha ritrattato questa tesi), sostengo che il nazismo e
lo stalinismo sono fenomeni non marginali, bensì attinenti ed omogenei alla
cultura occidentale.
Mi permetto di rimandarti alla Dialettica
dell’Illuminismo di Theodor
W Adorno ed Max Horkheimer, in cui viene
colto un filo rosso, il nesso tra la Ragione dei Lumi ed Auschwitz. Dal sogno
prometeico del dominio sulla natura, la Ratio illuminista espunge da sé
qualunque ostacolo alla realizzazione dei suoi scopi (Dio, la morale). In breve
si passa dal dominio sulla natura, al dominio sull’uomo. La Ragione
dopo aver desacralizzato il Mondo, e sottomesso la natura ai suoi voleri, si
trasforma in Ragione Strumentale, che si muove unicamente sulla linea di
demarcazione causa-effetto. Il passaggio al Totalitarismo è breve: tutto quello
che impedisce la realizzazione del profitto dev’essere rimosso.
Il Nazismo aveva un elemento pagano, ma comunque
il paganesimo germanico (come pure quello greco), rientra nell’immaginario
mitico dell’Occidente, ed è dunque un suo derivato. Il Nazismo, inoltre, era un
coacervo di elementi ideologici: c’era senz’altro la parte pagano-occultista.
Era presente accanto a questa, però, anche la deformazione del
Razionalismo Illuminista di cui ho parlato sopra. Un esempio
tipico di questa degenerazione era proprio la Soluzione Finale, con la sua
glaciale razionalità che ha mandato alle camere a gas otto milioni di ebrei. In
questo caso, l’Olocausto diventa quasi un problema contabile, di dover
"gasare" il giorno un certo standard di prigionieri, perché è
funzionale all’ottimizzazione degli spazi. In questo puoi vedere all’opera la
mostruosa deformazione della Ragione strumentale: "Quanti prigionieri gasare per
arrivare all’optimum…”.
Non sono d’accordo con te, quando identifichi,
di fatto, l’Occidente e il Cristianesimo. Infatti, è proprio l’avvento dei
Lumi, e la scristianizzazione dell’Occidente ad aver prodotto quell’altro
fenomeno storico che è stato il comunismo. Questo sistema politico nasce in
Germania, non nella Russia asiatica, o in India. Marx, del resto era un
ammiratore dell’Illuminismo, di cui si considerava un degno epigono. Anche il
totalitarismo comunista (ripeto che continuo a mantenere la distinzione tra
Marxismo, Leninismo e Stalinismo) come il nazismo sono quindi figli
dell’Occidente, più in particolare della degenerazione sanguinaria illuminista.
Concludendo, amico mio, non sono d’accordo con
te sulla cultura liberale e libertaria dell’Occidente "democratico".
Noi non siamo più liberi, ma solo controllati meglio…
© ♚Pierre