domenica 27 aprile 2014
Sclera-Menti: Il tramonto dell'Occidente
Sclera-Menti: Il tramonto dell'Occidente: Considerazioni di ordine generale Werner Sombart Esistono nella storia della cultura europea diversi "occidenti", così c...
venerdì 25 aprile 2014
Il tramonto dell'Occidente
Considerazioni di ordine generale
Werner Sombart |
In Germania, nel passaggio tra '800 e '900, si realizza un notevole crollo di fiducia nella realizzazione del "Geist". In qualche modo, si comincia a separare l'Occidente dall'Europa. La Germania, in particolare, si trova schiacciata tra l'incudine degli americani e il martello dei russi.
Si vedono contrapposte due diverse visioni del mondo e, per dirla con Werner Sombart, un'Europa degli Eroi ad un'Europa dei "mercanti".
Indubbiamente esistono dei cicli storici e una delle cose che ho cercato di diffondere dallo studio dei cicli cosmici è che nella storia a periodi aurei fanno seguito periodi argentei, e poi, via via bronzei, fino a lunghi periodi di declino.
La fesseria della razionalità occidentale
La barbarie della crisi sistemica ancora in atto (soprattutto a livello economico-finanziario) produce mutazioni cultural-politiche inenarrabili, smascherando la presunta superiorità razionalità politico-economica occidentale, compromettendo il concetto stesso di razionalità quale metro esatto di giudizio.
Dov'è andata a finire la sbandierata capacità occidentale di governare saggiamente? Che ne è della sua presunzione di rappresentare un modello universale da seguire e persino da esportare in tutto il mondo, in barba alle diverse culture?
Dobbiamo seriamente domandarci se razionalità, razionalismo, razionalizzazione sono concetti che ancora rappresentano l'essenza dell'Occidente. Evidentemente, volendo seguire la moda scientista, questi sono diventati essi stessi, concetti obsoleti. che appartengono solo alla sua storia e genealogia...
Ma a quale storia e genealogia possiamo riferirci? A quella remota dell'età assiale (un concetto che adesso sta un po' ricostruendo la matrice profonda dell'Occidente); oppure alla matrice greco-romana, o anche a quella cristiana, oggi tanto retoricamente evocata... Oppure alla genealogia più prossima della modernità: la genealogia dell'Illuminismo, della scienza moderna, del secolarismo.
E' sensato ipotizzare che tramite essa possiamo stabilire un confronto positivo con le culture non occidentali, in particolare con l'Islam che è geopolitica mente vicino? Sono domande che possono essere affrontate da tanti punti di vista. In questo senso è l'intera civiltà occidentale che viene messa in questione. Colpisce un fatto: attraverso molti dei suoi esponenti intellettuali, l'occidente mostra una straordinaria capacità analitica, critica e, soprattutto, autocritica... ma ad essa non corrisponde un eguale capacità di orientamento politico e, soprattutto, di governo, dentro e fuori del suo orizzonte geopolitico.
Potremmo dire che ad una forte capacità autocritica non corrisponde altrettanta forza pragmatica e realizzatrice. Si tratta solo di un momentaneo deficit finanziario globale?
Tutto ciò è correggibile? O Siamo di fronte ad una alterazione profonda della sostanza stessa della razionalità? La risposta a mio insindacabile parere è negativa. Ma, andiamo avanti nello sviluppo.
A ben vedere, l'occidente è - esso stesso - colpevole del peccato di razionalismo; di essere cioè così arrogante da credere che la ragione - di per sé - abiliti gli esseri umani a conoscere tutto ciò che c'è da conoscere. L'ubriacatura scientifico-positivista ne è una dimostrazione lampante. Infatti, ancora più mefitico dell'imperialismo militare è l'imperialismo della mente che impone la fiducia occidentale nella scienza, la fede nella scienza come unica via di conoscenza. Altre forme di conoscenza vengono bollate dai razionalisti come superstizioni.
Non sarebbe ora che l'occidente si liberasse - una volta per tutte - dall'arrogante ingenuità con cui va sottoponendo, spesso anche in modo coercitivo, gli altri popoli ai suoi gretti schemi mentali, giudicabile esclusivamente sulla scala dei suoi valori?
Ma adesso l'Occidente non è più lo stesso di quello del secolo scorso. La Germania di oggi non è quella di Oswald Spengler, e nemmeno quella di Thomas Mann. All'epoca, non solo gli intellettuali, ma anche gran parte dei tedeschi non si identificavano affatto con l'occidente. Meno di un secolo fa, l'occidente era rappresentato dalla civiltà anglo-americana e, al massimo, francese!
Inoltre, l'universalismo non è affatto occidentale.
La logica del sistema occidentale dominante trae vantaggio dal rappresentare se stesso come aperto, pluralistico e, soprattutto, razionale. L'islam, per esempio, non ha necessità di integrarsi in questo ordine di razionalità, relativizzando i principi universali dell'ISLAM, poiché esso stesso Universale.
Esiste dunque una contrapposizione radicale tra la razionalità occidentale e l'ISLAM.
La contestazione è tutt'altro che nuova ed è univoca. Infatti questa Weltanschauung coincide non solo con quella Islamica ma anche con quella di scrittori famosi tedeschi, come appunto, i già citati Thomas Mann e Oswald Spengler. Scrittori che, per certi versi, possono considerarsi avversari ma che, tuttavia, mantengono ferma la loro opinione sull'Occidente. Eppure è assai singolare che proprio in quella fase storica, in cui si parlava di un vero e proprio scontro di civiltà, Max Weber teorizzava il razionalismo come base del pensiero occidentale. Evidentemente, quello era il sintomo di una malattia che stava nascendo in Europa e che né il Nazionalsocialismo né la guerra riuscirono a fermare.
Dov'è andata a finire la sbandierata capacità occidentale di governare saggiamente? Che ne è della sua presunzione di rappresentare un modello universale da seguire e persino da esportare in tutto il mondo, in barba alle diverse culture?
Dobbiamo seriamente domandarci se razionalità, razionalismo, razionalizzazione sono concetti che ancora rappresentano l'essenza dell'Occidente. Evidentemente, volendo seguire la moda scientista, questi sono diventati essi stessi, concetti obsoleti. che appartengono solo alla sua storia e genealogia...
Ma a quale storia e genealogia possiamo riferirci? A quella remota dell'età assiale (un concetto che adesso sta un po' ricostruendo la matrice profonda dell'Occidente); oppure alla matrice greco-romana, o anche a quella cristiana, oggi tanto retoricamente evocata... Oppure alla genealogia più prossima della modernità: la genealogia dell'Illuminismo, della scienza moderna, del secolarismo.
E' sensato ipotizzare che tramite essa possiamo stabilire un confronto positivo con le culture non occidentali, in particolare con l'Islam che è geopolitica mente vicino? Sono domande che possono essere affrontate da tanti punti di vista. In questo senso è l'intera civiltà occidentale che viene messa in questione. Colpisce un fatto: attraverso molti dei suoi esponenti intellettuali, l'occidente mostra una straordinaria capacità analitica, critica e, soprattutto, autocritica... ma ad essa non corrisponde un eguale capacità di orientamento politico e, soprattutto, di governo, dentro e fuori del suo orizzonte geopolitico.
Potremmo dire che ad una forte capacità autocritica non corrisponde altrettanta forza pragmatica e realizzatrice. Si tratta solo di un momentaneo deficit finanziario globale?
Tutto ciò è correggibile? O Siamo di fronte ad una alterazione profonda della sostanza stessa della razionalità? La risposta a mio insindacabile parere è negativa. Ma, andiamo avanti nello sviluppo.
A ben vedere, l'occidente è - esso stesso - colpevole del peccato di razionalismo; di essere cioè così arrogante da credere che la ragione - di per sé - abiliti gli esseri umani a conoscere tutto ciò che c'è da conoscere. L'ubriacatura scientifico-positivista ne è una dimostrazione lampante. Infatti, ancora più mefitico dell'imperialismo militare è l'imperialismo della mente che impone la fiducia occidentale nella scienza, la fede nella scienza come unica via di conoscenza. Altre forme di conoscenza vengono bollate dai razionalisti come superstizioni.
Non sarebbe ora che l'occidente si liberasse - una volta per tutte - dall'arrogante ingenuità con cui va sottoponendo, spesso anche in modo coercitivo, gli altri popoli ai suoi gretti schemi mentali, giudicabile esclusivamente sulla scala dei suoi valori?
Ma adesso l'Occidente non è più lo stesso di quello del secolo scorso. La Germania di oggi non è quella di Oswald Spengler, e nemmeno quella di Thomas Mann. All'epoca, non solo gli intellettuali, ma anche gran parte dei tedeschi non si identificavano affatto con l'occidente. Meno di un secolo fa, l'occidente era rappresentato dalla civiltà anglo-americana e, al massimo, francese!
Inoltre, l'universalismo non è affatto occidentale.
La logica del sistema occidentale dominante trae vantaggio dal rappresentare se stesso come aperto, pluralistico e, soprattutto, razionale. L'islam, per esempio, non ha necessità di integrarsi in questo ordine di razionalità, relativizzando i principi universali dell'ISLAM, poiché esso stesso Universale.
Esiste dunque una contrapposizione radicale tra la razionalità occidentale e l'ISLAM.
La contestazione è tutt'altro che nuova ed è univoca. Infatti questa Weltanschauung coincide non solo con quella Islamica ma anche con quella di scrittori famosi tedeschi, come appunto, i già citati Thomas Mann e Oswald Spengler. Scrittori che, per certi versi, possono considerarsi avversari ma che, tuttavia, mantengono ferma la loro opinione sull'Occidente. Eppure è assai singolare che proprio in quella fase storica, in cui si parlava di un vero e proprio scontro di civiltà, Max Weber teorizzava il razionalismo come base del pensiero occidentale. Evidentemente, quello era il sintomo di una malattia che stava nascendo in Europa e che né il Nazionalsocialismo né la guerra riuscirono a fermare.
Razionalismo occidentale e modernità
Per i classici del razionalismo occidentale era ovvio che esso coincidesse con la modernità. Oggi non è più così: non esiste più nesso necessario e biunivoco tra razionalismo occidentale e modernità. Certo, in qualunque parte del mondo e per qualunque società che si vuole "moderna", rimangono insostituibili i criteri della razionalità dell'occidente. Ma perché questo avviene? Forse perché questi criteri sono il frutto della cosiddetta "superiorità morale occidentale"?
La democrazia irrealizzata
E' osservazione assai corrente che chi - all'inizio del ventunesimo secolo - abbia rivolto lo sguardo al secolo precedente - ha potuto constatare come uno dei risultati che da esse emergessero più clamorosamente vi sia stato il li trionfo della liberal democrazia nei confronti dei suoi nemici. Mai prima d'ora era infatti avvenuto che un numero tanto elevato di stati del mondo fossero retti da regime che si definivano e si definiscono democratici e che i valori democratici fossero così poco contestati, al punto che non sembra esagerazione dire che da allora (da questo trionfo della liberal democrazia) abbia avuto il sopravvento un vero e proprio conformismo democratico. Se non che, proprio mentre conosce il suo maggiore trionfo, la democrazia (quale concepita ed attuata in occidente) appare tutt'altro che in buona salute, perché troppi dei suoi presupposti essenziali sono profondamente scossi da processi di natura politica, economica e sociale, sia al livello dei singoli stati sia livello internazionale.
La democrazia - lo sappiamo bene - è insieme un ideale, un progetto e una realtà. Una realtà nella quale l’ideale è destinato a subire vari condizionamenti, adattamenti… pagando il prezzo inevitabile di tutta una serie di limitazioni e anche di sufficienze, di deformazioni. Si può legittimamente pensare che se non mantiene tutte le sue promesse, allora la democrazia diventa altro da sé. Inoltre, occorre insistere sul fatto che se viene meno ai suoi principi fondamentali, ai suoi obiettivi fondamentali, essa subisce un mutamento qualitativo, sopravvivendo come ideologia ma rischiando di perdere la sua sostanza. Credo si possa convenire senza nessuna difficoltà che, come hanno insegnato i maestri del pensiero democratico, condizione essenziale della democrazia è che i soggetti legittimati a partecipare alle decisioni da cui derivano le leggi che regolano la vita associata abbiano e siano in grado di mantenere le risorse necessarie per comprendere la natura delle decisioni stesse e, soprattutto, le loro implicazioni, onde esprimere con efficacia il proprio consenso o dissenso nei loro confronti, con le relative conseguenze nella formazione e nella caduta dei governi.
La democrazia - lo sappiamo bene - è insieme un ideale, un progetto e una realtà. Una realtà nella quale l’ideale è destinato a subire vari condizionamenti, adattamenti… pagando il prezzo inevitabile di tutta una serie di limitazioni e anche di sufficienze, di deformazioni. Si può legittimamente pensare che se non mantiene tutte le sue promesse, allora la democrazia diventa altro da sé. Inoltre, occorre insistere sul fatto che se viene meno ai suoi principi fondamentali, ai suoi obiettivi fondamentali, essa subisce un mutamento qualitativo, sopravvivendo come ideologia ma rischiando di perdere la sua sostanza. Credo si possa convenire senza nessuna difficoltà che, come hanno insegnato i maestri del pensiero democratico, condizione essenziale della democrazia è che i soggetti legittimati a partecipare alle decisioni da cui derivano le leggi che regolano la vita associata abbiano e siano in grado di mantenere le risorse necessarie per comprendere la natura delle decisioni stesse e, soprattutto, le loro implicazioni, onde esprimere con efficacia il proprio consenso o dissenso nei loro confronti, con le relative conseguenze nella formazione e nella caduta dei governi.
Si richiede, cioè:
- in primo luogo, che quanti delegati dagli elettori ad esercitare il potere, lo facciano in modo tale che i governati abbiano la possibilità di conoscerne i meccanismi, gli orientamenti e i processi decisionali.
- In secondo luogo, che il corpo dei cittadini possegga gli strumenti per influire efficacemente sull’esercizio del potere, controllarlo e, se necessario, cambiarlo.
- In terzo luogo, che la formazione dell’élite preposta all’esercizio del potere non acquisti un carattere chiuso tale da contraddire apertamente il principio di partecipazione allargata. La rappresentanza deve essere il risultato di un processo di selezione aperto all’insieme dei cittadini.
Non a caso si afferma che “la sostanza della democrazia è il potere ultimo dei cittadini a decidere del proprio destino, vuoi pacificamente, vuoi consapevolmente, nel quadro di una “società aperta”. In altre parole, in una società nella quale non si dia una distribuzione delle risorse tale da impedire a qualsiasi cittadino, non solo di partecipare alla formazione delle decisioni politiche, ma anche di accedere ai massimi livelli del potere avente il compito di guidare le sorti comuni, non vi è democrazia.
Orbene, adesso si arriva alla domanda cruciale.
Nelle società che attualmente si definiscono democratiche si sono o no consolidate barriere che pongano ostacoli sempre maggiori a che esse siano e restino effettivamente società aperte e cioè, se siano o meno consolidate posizioni di potere di fatto monopolistiche ed accentrate e quindi inaccessibili al controllo e alle decisioni della maggioranza?
Dalla risposta se ne ricava una certezza: non vi è alcuna democrazia realizzata in Occidente.
Ma è possibile dare sostanza significativa alla partecipazione popolare senza scadere nella demagogia?
E' possibile, cioè, instaurare una sorta di democrazia sociale, realmente partecipata, senza arrivare all'obbrobrio dell'espropriazione collettiva?
© ♚Pierre
Note e Bibliografia di riferimento:
Ma è possibile dare sostanza significativa alla partecipazione popolare senza scadere nella demagogia?
E' possibile, cioè, instaurare una sorta di democrazia sociale, realmente partecipata, senza arrivare all'obbrobrio dell'espropriazione collettiva?
© ♚Pierre
Note e Bibliografia di riferimento:
Il tramonto dell'Occidente di Oswald Spengler,
La crisi del mondo moderno di René Guénon
Oriente e Occidente di René Guènon,
La metafisica del Capitalismo, di Werner Sombart.
Mercanti ed eroi di Werner Sombart e E. Daly
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber
Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann
lunedì 21 aprile 2014
Il Blog “Sclera-Menti” riapre i battenti…
Riprendiamo a scrivere, qui, dopo circa un anno, più o meno. Forse meno. La decisione di riprendere a scrivere, non è un capriccio infantile, tutt'altro. Essa risponde piuttosto ad una NECESSITA'.
La nostra scelta per una forma “moderna” d'esposizione va mantenuta. Attuare una chiusura adesso, magari privatizzando il blog, sarebbe fatale, anche se una tal cosa, adesso, sembrerebbe naturale. Occorre, per converso, una più larga partecipazione. Di qui la necessità di invitare nuovi membri che possano dare un contributo alla prosecuzione del Blog.
Una delle caratteristiche dell'esposizione “relativamente libera”, che si struttura in questo Blog, è che, ad ogni "post", si può tornare al “centro” dei temi espositivi. E' cosa senz'altro da farsi di tanto in tanto, sia per ravvivare l'esposizione, sia per non far perdere il “filo” dell'esposizione stessa. Una dottrina non è tanto più vera quanto più è “chiara” o “coerente”, il che troppe volte vuol dire “piatta”, ma quanti più e quanti migliori corrispondenze riesce ad evocare.
Nell'attuale quadro solo com-ponendo, ma non meramente giustapponendo, le diverse "opinioni" è possibile “far luce” sulle varie quæstiones.
Nell'attuale quadro solo com-ponendo, ma non meramente giustapponendo, le diverse "opinioni" è possibile “far luce” sulle varie quæstiones.
Per questo mi aspetto una partecipazione "ordinata" ma Corale onde poter "aver luce".
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