giovedì 14 marzo 2013

Il "Pontifex" e la guerra delle parole

"Chi non prega il signore prega il diavolo" Leon Bloy

Abbiamo Francesco. Un nome, un luogo e una pausa hanno caratterizzato l'elezione di Jorge Mario Bergoglio.  Una scelta all'insegna della discontinuità rispetto alle direttive curiali romane. Candidature troppo marcate hanno fatto prevalere una scelta di convergenza. Si è puntualmente verificata così la giusta previsione di Vittorio Messori che, segretamente, aveva vaticinato il pronostico poi confidato al collega de La Stampa, Michele Brambilla.
Molti lo hanno definito un "Papa a sorpresa", un Papa, come egli stesso ha amato definirsi venuto dalla fine del mondo... 
Fine del mondo anche perché il continente sudamericano sta attraversando un profondo periodo di scristianizzazione galoppante.
Dal punto di vista storico vorrei ricordare che fu proprio Giovanni XXIII a definirsi per primo Papa e non pontefice. Inoltre non credo che questa definizione o quella di Pontefice portino tratti inquietanti, non evocano i poteri occulti di qualche arcigna supremazia. Il termine "Papa" evoca la paternità, spiritualmente incarnata nel Santo padre. Un'etimologia della tenerezza che non credo possa essere associata a qualsivoglia inquietante teoria cospirazionista. E quindi devesi respingere ogni critica che viene da certi sinistri ambienti che la giudicano, becera o curiale.  Evitiamo dunque la guerra delle parole e limitiamoci a giudicare le cose dai fatti. 
Pontefice viene invece  dal latino  Pontifex, ossia facitore di ponti fra il mondo umano e quello divino. Qui si accorda una forte prevalenza dell'etimologia tradizionale che allontana ogni equivoco.
Tra le molte suggestioni - interessate e non - che l'elezione del nuovo Papa ha suscitato, vi è il ricordo nient'affatto scontato secondo cui San Francesco fu un uomo d'armi,  capace di azione politica, tanto  che egli stesso si recò in terre lontane, popolate da infedeli, e cercò - senza successo - di convertire i musulmani alla religione cattolica; l'altro fatto - poco conosciuto  - è che il Santo di Assisi non fu sacerdote e, in qualche misura, fece in tempo a partecipare ad un'elezione papale assai diversa da quella odierna; di un'elezione papale che avveniva per concorso di popolo e di clero. Tutto questo mi porta a considerare il messaggio che alcuni teologi odierni, in primis Hans Kung, teologo svizzero, ritengono irrinunciabile: della necessità di un dialogo religioso con il mondo laico. Del resto anche il papa emerito, Benedetto XVI, teologo assai legato all'ortodossia cattolica,  ebbe a dire una cosa abbastanza sconcertante: "Gli inquieti non credenti sono più vicini a Dio dei credenti per routine"; ossia di coloro che sono devoti essenzialmente per trasmissione ereditaria o, peggio, per pigrizia mentale, per un esercizio automatico dell'appartenenza. Quindi, da questo punto di vista, sono presenti tutti i segnali per aprire un dialogo con il mondo laico. Tuttavia, occorre che questo dialogo non si fondi sul terreno della laicità, come percorso d'imitazione verso modelli di vita sbagliati e profondamente anti cristiani. Un dialogo deve invece basarsi sulla comprensione dei diversi percorsi e, in particolare, su chi ritiene essenziale l'esperienza religiosa e chi, viceversa, pensa che tale esperienza sia mediata dall'illusione della fede o da modelli sociali primitivi.
A questo punto occorre porsi una domanda fondamentale: vogliamo una Chiesa "comoda" oppure una chiesa " scomoda"?
Vogliamo ciò che arrivi a tutti la Buona novella di Cristo oppure quella di Mammona? Dobbiamo augurarci le migliori cose perchè questo pontefice prosegua e accentui la riscoperta del messaggio cristiano. Questo fatto riguarda tutti. Sin dall'inizio il Cristianesimo ha dovuto fortemente lottare chi voleva ridurre l'essere all'apparire o, peggio, al pos-sesso e, dunqu, ad aspetti esteriori che non afferiscono appunto la dignità e la centralità dell'animo umano e della persona ma riguardano aspetti puramente materiali. E' dunque questo un conflitto che si trascina da secoli. Certo, la Chiesa opera in questo mondo e quindi ne accetta i limiti e le pecche, ragion per cui deve aprirsi, comprendere e non chiudersi in una torre d'avorio. In buona sostanza occorre accettare una Chiesa con le fondamenta ben salde e lo sguardo rivolto al cielo, ma con le porte aperte a tutti senza lasciarsi contagiare dall'esterno.
Sicuramente il Papa non può esimersi dal cercare un dialogo con il suo popolo. Cosa diversa però a mio avviso e cercarlo ad ogni costo anche con chi per sua scelta non si professa credente. In questo modo oltre a svilire il suo compito verrebbe meno pure alla sua missione pastorale.
©  ♚Pierre

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