giovedì 28 marzo 2013

Il destino fra le due correnti


Benedetto-Croce2
Il malcostume partitocratico, portato alla luce dalle note vicende giudiziarie, ha stravolto il nostro giudizio sulla politica, sul liberalismo e la democrazia.
Occorre perciò riportare nel dibattito politico l’ideale liberale nella sua essenza, senza alcun pregiudizio, privandolo delle inutili e sterili polemiche, ed invece analizzandolo nella sua pura essenza.
In questo senso possiamo prendere come riferimento il messaggio politico di Benedetto Croce, il quale ci ha trasmesso un’idea di liberalismo come metodologia di pensiero e azione.
Da questo punto di vista, possiamo serenamente affermare che l’essere liberale, secondo la visuale crociana, non si ascrive ad una sorta di ideologia statica ed inamovibile, come invece possono essere il comunismo, il fascismo, il socialismo eccetera. Il liberalismo è dunque un fenomeno metapolitico e metapartitico.
Non vi sono, per questo motivo, delle ricette precostituite, inserite nel “DNA” Liberale. Il liberalismo è piuttosto un metodo. Un metodo che fornisce strumenti utili per agire nell’agone politico attuale.
La religione della libertà
L’espressione va interpretata in due sensi. Anzitutto in senso etimologico. Religio è ciò che unisce.  La libertà dovrebbe essere la più alta aspirazione umana, insieme alla conoscenza. Invece, oggi, per molti, vale più un accomodamento, un favore che la libertà. Per andare oltre. Croce usa questo termine poiché richiama la passione e, soprattutto, qualcosa di non meramente intellettualistico.
Quindi essere liberali significa essere uniti nella lotta per la libertà. La religione però riporta alla nostra mente la Fede e dunque la passione. In questo senso il liberalismo di Croce si avvicina molto a quello di Piero Gobetti. Il concetto di lotta è centrale nel liberalismo italiano. Quando Gobetti esalta l’associazionismo operaio non lo fa in termini propriamente marxisti ma proprio come una forma di lotta per l’emancipazione e la conquista degli spazi di espressione. Questa lotta si concretizza nella costruzione delle istituzioni democratiche ossia nella forma di rappresentanza modernamente intesa.
Il concetto di Libertà può essere equiparato ai concetti di “Vita” e “Amore”.
Benedetto Croce non dice quanto “mercato” o quanto “Stato” debba esserci nel liberalismo. Il liberalismo è una concezione del mondo e della vita. Una lotta per la libertà. Non può dunque associarsi ad alcun partito politico. Diversamente, il liberalismo diverrebbe un’ideologia come tante altre.  E’ una continua tensione che serve all’uomo per creare la vita. Quindi tutto ciò che crea Vita è intrinsecamente etico. Croce vuole spronare gli uomini a coltivare la libertà come lotta. Questo perché la libertà va ri-conquistata ogni giorno. Anche Luigi Einaudi condivide quest’amore per la lotta, intesa come lotta per la libertà. Infatti nel suo saggio “La bellezza della lotta” spiega quale sia la sua idea del liberalismo. Per i liberali la storia non si muove né in un senso né in un altro, come invece avviene secondo la visione marxista. Per questo occorre agire con responsabilità e coscienza, senza farsi influenzare dalle mode o, peggio, dagli istinti materiali. Il liberalismo – correttamente inteso – non è altro che la continuazione della rivoluzione portata a compimento dal Cristianesimo. Una rivoluzione che combatte tutti gli elementi di fissità insiti nel materialismo e quindi non solo nel paganesimo ancestrale ma pure nel Cristianesimo istituzionalizzato (più preoccupato delle cose umane “molto umane” che di quelle spirituali).
“La menzogna ha preso il posto della verità come moneta che solo ha corso”
Queste le parole di Croce. Ma allora se la verità assume un ruolo centrale nell’analisi Crociana occorre che essa sia interpretata alla luce di un’altra ottica. Tutto rimanda all’individuo e al suo cosciente o incosciente operare e muoversi nella storia.
La colpa, l’errore e il male in generale, si rivelano come il negativo manifestarsi di un potere in cui l’Io ha il suo principio.  L’insufficienza della volontà rispetto alla tensione umana. In altre parole la deficienza della volontà rispetto al mondo degli istinti. Il mondo degli istinti è il mondo naturale.  Vi è poi una presenza fra due correnti che, per semplicità, si possono distinguere in due correnti principali: quella del passato e quella dell’avvenire, come segno di un’armonia o anche di una lotta fra bene e male.
Il decorso del destino individuale  per Croce è frutto di questa lotta cosciente. A ben vedere, però, esso viene determinato dalla continua combinazione di queste due correnti. Gli orientali identificano il passato come il karma (anche se non è il karma) e il futuro che reca con sé il germe della libertà.
In altre parole esiste nell’individuo un percorso già esperito ( magari anche in malo modo), che rappresenta un percorso obbligato; e un percorso diverso che si dirige verso l’avvenire e rappresenta l’evoluzione umana. Questa è la corrente dell’IO attiva nel puro pensiero, indipendente dal sentire radicato nella natura. In questo processo il sangue, la razza e l’appartenenza nulla possono. Tuttavia, dall’incontro/scontro  fra le due correnti nasce il destino dell’uomo.
© ♔Pier Luigi

giovedì 14 marzo 2013

Il "Pontifex" e la guerra delle parole

"Chi non prega il signore prega il diavolo" Leon Bloy

Abbiamo Francesco. Un nome, un luogo e una pausa hanno caratterizzato l'elezione di Jorge Mario Bergoglio.  Una scelta all'insegna della discontinuità rispetto alle direttive curiali romane. Candidature troppo marcate hanno fatto prevalere una scelta di convergenza. Si è puntualmente verificata così la giusta previsione di Vittorio Messori che, segretamente, aveva vaticinato il pronostico poi confidato al collega de La Stampa, Michele Brambilla.
Molti lo hanno definito un "Papa a sorpresa", un Papa, come egli stesso ha amato definirsi venuto dalla fine del mondo... 
Fine del mondo anche perché il continente sudamericano sta attraversando un profondo periodo di scristianizzazione galoppante.
Dal punto di vista storico vorrei ricordare che fu proprio Giovanni XXIII a definirsi per primo Papa e non pontefice. Inoltre non credo che questa definizione o quella di Pontefice portino tratti inquietanti, non evocano i poteri occulti di qualche arcigna supremazia. Il termine "Papa" evoca la paternità, spiritualmente incarnata nel Santo padre. Un'etimologia della tenerezza che non credo possa essere associata a qualsivoglia inquietante teoria cospirazionista. E quindi devesi respingere ogni critica che viene da certi sinistri ambienti che la giudicano, becera o curiale.  Evitiamo dunque la guerra delle parole e limitiamoci a giudicare le cose dai fatti. 
Pontefice viene invece  dal latino  Pontifex, ossia facitore di ponti fra il mondo umano e quello divino. Qui si accorda una forte prevalenza dell'etimologia tradizionale che allontana ogni equivoco.
Tra le molte suggestioni - interessate e non - che l'elezione del nuovo Papa ha suscitato, vi è il ricordo nient'affatto scontato secondo cui San Francesco fu un uomo d'armi,  capace di azione politica, tanto  che egli stesso si recò in terre lontane, popolate da infedeli, e cercò - senza successo - di convertire i musulmani alla religione cattolica; l'altro fatto - poco conosciuto  - è che il Santo di Assisi non fu sacerdote e, in qualche misura, fece in tempo a partecipare ad un'elezione papale assai diversa da quella odierna; di un'elezione papale che avveniva per concorso di popolo e di clero. Tutto questo mi porta a considerare il messaggio che alcuni teologi odierni, in primis Hans Kung, teologo svizzero, ritengono irrinunciabile: della necessità di un dialogo religioso con il mondo laico. Del resto anche il papa emerito, Benedetto XVI, teologo assai legato all'ortodossia cattolica,  ebbe a dire una cosa abbastanza sconcertante: "Gli inquieti non credenti sono più vicini a Dio dei credenti per routine"; ossia di coloro che sono devoti essenzialmente per trasmissione ereditaria o, peggio, per pigrizia mentale, per un esercizio automatico dell'appartenenza. Quindi, da questo punto di vista, sono presenti tutti i segnali per aprire un dialogo con il mondo laico. Tuttavia, occorre che questo dialogo non si fondi sul terreno della laicità, come percorso d'imitazione verso modelli di vita sbagliati e profondamente anti cristiani. Un dialogo deve invece basarsi sulla comprensione dei diversi percorsi e, in particolare, su chi ritiene essenziale l'esperienza religiosa e chi, viceversa, pensa che tale esperienza sia mediata dall'illusione della fede o da modelli sociali primitivi.
A questo punto occorre porsi una domanda fondamentale: vogliamo una Chiesa "comoda" oppure una chiesa " scomoda"?
Vogliamo ciò che arrivi a tutti la Buona novella di Cristo oppure quella di Mammona? Dobbiamo augurarci le migliori cose perchè questo pontefice prosegua e accentui la riscoperta del messaggio cristiano. Questo fatto riguarda tutti. Sin dall'inizio il Cristianesimo ha dovuto fortemente lottare chi voleva ridurre l'essere all'apparire o, peggio, al pos-sesso e, dunqu, ad aspetti esteriori che non afferiscono appunto la dignità e la centralità dell'animo umano e della persona ma riguardano aspetti puramente materiali. E' dunque questo un conflitto che si trascina da secoli. Certo, la Chiesa opera in questo mondo e quindi ne accetta i limiti e le pecche, ragion per cui deve aprirsi, comprendere e non chiudersi in una torre d'avorio. In buona sostanza occorre accettare una Chiesa con le fondamenta ben salde e lo sguardo rivolto al cielo, ma con le porte aperte a tutti senza lasciarsi contagiare dall'esterno.
Sicuramente il Papa non può esimersi dal cercare un dialogo con il suo popolo. Cosa diversa però a mio avviso e cercarlo ad ogni costo anche con chi per sua scelta non si professa credente. In questo modo oltre a svilire il suo compito verrebbe meno pure alla sua missione pastorale.
©  ♚Pierre