"Gli interessi divorano il capitale": questo lo diceva pure mia nonna. Un aumento di capitali dell'EFSF o del suo futuro clone ESM (Europea Stability Mechanism) non serve a nulla se non si conosce il modo in cui questi verranno impiegati. Anzi, a ben vedere, la sottoscrizione di questo accordo capestro espone l'intero paese ad un ulteriore esautorazione delle proprie funzioni, in favore di un'organizzazione finanziaria intergovernativa
E, comunque vada, si tratta sempre di soluzioni-tampone che non risolvono alla radice la questione.
La domanda allora sorge spontanea: che fare per evitare il tracollo finanziario e, successivamente, anche quello economico? Premesso che i "mercati" ci indicano di credere sulla seria probabilità che l'euro crolli, e pertanto continueranno a "sfidare" l'Italia sul fatto che non sia in grado di pagare il suo "debito sovrano" come bisogna comportarsi? L'Italia è diventata ormai il banco di prova dell'euro. Se l'Italia cede il crollo dell'Euro è sicuro.
Il refrain che ci sentiamo ripetere è che abbiamo contratto un debito enorme e che dobbiamo onorarlo. Messa in questi termini la questione non può essere elusa, anche perché l'insolvenza non è un buon "biglietto da vista" per chiunque, figurarsi per uno stato sovrano. Chi chiede un prestito deve onorarlo. Su questo non ci piove. Ma sarebbe superficiale soffermarsi su questa semplice apparenza. Vediamo perché.
Vi sono varie teorie al proposito. Tutti (o quasi) sostengono che il debito vada onorato. Ci si divide solamente sul modo in cui saldare il debito.
I "mercatisti" sostengono che il debito - siccome è stato contratto dallo Stato - a lui spetti pagarlo. Se può lo deve pagare, se non può (perché non ha le risorse) deve comunque assicurare la solvibilità di un emittente sovrano. Quindi le ricette proposte sono: cartolarizzazioni, drastica riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni, messa all’incanto di beni demaniali, improduttivi ed inutili ecc. Altri, invece, sostengono che il debito sia di "tutti", quindi debbano essere i cittadini ad onorarlo, magari istituendo una tassa patrimoniale, proporzionale ai propri averi.
Nessuno però si cimenta nel trovare soluzioni alternative e, perché no, anche fuori dal comune. Luca Abete a Ballarò ha sostenuto quest’ultima tesi. La via della rincorsa alle manovre con lo spread che sale non servirà a riavviare l’economia ma ad affossarla ulteriormente.
Nessuno però si cimenta nel trovare soluzioni alternative e, perché no, anche fuori dal comune. Luca Abete a Ballarò ha sostenuto quest’ultima tesi. La via della rincorsa alle manovre con lo spread che sale non servirà a riavviare l’economia ma ad affossarla ulteriormente.
Le Banche italiane sono in una condizione di persistente sofferenza e non possono resistere a lungo all’innalzarsi dello spread. Non esiste, infatti, solo la strada mercatista secondo cui chi ha contratto i debiti li paga (se può) o, al limite, occorre assicurare la "cosiddetta" solvibilità dell'emittente sovrano.
C'è anche la strada di chi il debito lo respinge o, meglio, lo ripudia, poiché non è esatto affermare che sia stato il "popolo" ad indebitarsi... ma, invece, chi lo ha contratto a suo nome... E se, chi l''ha contratto, legittimamente o illegittimamente, non è in grado di onorarlo, è giusto che venga messo alla sbarra, con tutto ciò che una tal cosa comporta sul piano giuridico e legale.
In vero questa strada non è affatto nuova. E' una strada antica, percorsa molte volte, dal Medioevo (ed anche prima) in avanti, anche se in circostanze e modalità del tutto diverse rispetto a quelle attuali.
Illustri regnanti hanno fatto fallire fior di banche sol perché non erano in grado di pagare l'alto tasso di interesse che queste ultime praticavano. Il fallimento della Compagnia dei Bardi a Firenze, nel 1345, per insolvenza di sua maestà britannica, Edoardo III, è un esempio da manuale. La città di Genova fece il primo esperimento di ripudio totale del debito sovrano tra il 1200 e il 1300. All'epoca bastava sostituire il banchiere e il gioco era fatto. Certo esisteva anche il problema di ricostituire la credibilità perduta… Ovvio che una tal cosa, in specie quando il debito era stato contratto consapevolmente da regnanti senza scrupoli, non deponeva bene per chi lo metteva in pratica. Ma il tempo aggiustava tutto, si svalutava e si andava avanti. E, dunque, si potrebbe eccepire che, oggi, nell'era dei mercati globalizzati, il gioco riesce assai più difficile rispetto al passato, ma non per questo impossibile. Oltre all'Argentina si potrebbe citare un altro caso assai più interessante.
In vero questa strada non è affatto nuova. E' una strada antica, percorsa molte volte, dal Medioevo (ed anche prima) in avanti, anche se in circostanze e modalità del tutto diverse rispetto a quelle attuali.
Illustri regnanti hanno fatto fallire fior di banche sol perché non erano in grado di pagare l'alto tasso di interesse che queste ultime praticavano. Il fallimento della Compagnia dei Bardi a Firenze, nel 1345, per insolvenza di sua maestà britannica, Edoardo III, è un esempio da manuale. La città di Genova fece il primo esperimento di ripudio totale del debito sovrano tra il 1200 e il 1300. All'epoca bastava sostituire il banchiere e il gioco era fatto. Certo esisteva anche il problema di ricostituire la credibilità perduta… Ovvio che una tal cosa, in specie quando il debito era stato contratto consapevolmente da regnanti senza scrupoli, non deponeva bene per chi lo metteva in pratica. Ma il tempo aggiustava tutto, si svalutava e si andava avanti. E, dunque, si potrebbe eccepire che, oggi, nell'era dei mercati globalizzati, il gioco riesce assai più difficile rispetto al passato, ma non per questo impossibile. Oltre all'Argentina si potrebbe citare un altro caso assai più interessante.
Nel 2008 l'Islanda si è trovata al centro di una grandissima crisi di solvibilità. Le tre banche principali dell'isola, dopo aver promosso una campagna finanziaria a base di Junk-bond fallirono, ragion per cui vennero nazionalizzate. Occorre sottolineare che queste banche hanno subito una politica di "deregulation finanziaria", in virtù della quale avevano la possibilità di emettere i cosiddetti titoli spazzatura, al fine di indurre fondi di investimento a sottoscriverli, con l'attrattiva di riscuotere alti tassi di interesse. Queste banche private dovevano moltissimi miliardi ad alcune banche britanniche ed olandesi. L'ammontare della cifra superava di svariate volte quello del Prodotto Interno Lordo dell'intero paese nordico. Il guaio fu che il governo Islandese si rese garante delle banche private, ragion per cui il governo giunse alla bancarotta. La corona islandese, di conseguenza, crollò. Come sempre accade in questi casi arrivò l'aiuto del Fondo Monetario Internazionale che concesse fondi per l'importo di tre miliardi e mezzo, chiedendo in cambio durissime manovre finanziarie. Qui accadde un fatto inconsueto per noi popolo di "pecore": la gente scese in piazza e, dopo tre giorni di civile e democratica protesta, costrinse il Primo ministro del governo, Geir Hilmar Haarde a dimettersi. Il nuovo esecutivo socialdemocratico - presieduto da Jóhanna Sigurðardóttir – ripropose in altra salsa la solita manovra finanziaria (tre miliardi e mezzo), con una salatissima tassa patrimoniale del 5,5% per 15 anni a carico dei contribuenti; al che il popolo islandese scese nuovamente in piazza. A quel punto e, precisamente, nel marzo del 2011, il presidente della repubblica, Olafur Grimson, decise di indire un referendum popolare. Tutta la stampa internazionale gridò allo scandalo, ma gli islandesi non si fecero intimidire e andarono avanti sulla strada che avevano deciso di intraprendere. Il risultato fu strepitoso: il 93% (udite, udite!) dei voti espressi risultò a favore del ripudio totale del debito da insolvenza causato dalle banche private. In parole povere, gli islandesi hanno detto, senza se e senza ma, NO alle richieste del FMI; e se il Presidente del consiglio precedente pensava di dover comunque onorare il debito, ciò avrebbe significato per il popolo che anche lui andava messo alla sbarra. Tanto che anche il nuovo esecutivo viene costretto a dimettersi. Con un altro referendum gli islandesi si sono nuovamente (sebbene con una percentuale di adesione più bass) espressi in favore del ripudio del debito. In più, si è aperta una nuova fase costituente dopo quella avutasi dalla indipendenza dalla Danimarca. La nuova costituzione si forma con il contributo di 25 cittadini estratti fra centinaia di persone mai iscritte a partiti, e quindi estranei alla politica.
Costoro hanno riscritto la costituzione tramite consultazione collegiale su svariati testi attraverso il Social network! Una rivoluzione, dunque, realmente democratica e popolare.
Purtroppo, però, anche questa volta, il popolo è stato sonoramente gabbato.
Infatti, le cose sono andate assai diversamente da come vengono raccontate sui mass-media.
Il debito estero, dunque, non è stato ripudiato, così come ci viene raccontato da più parti e come richiedevano gli stessi cittadini. L'Islanda sta tuttora ripagando il suo debito! Nel contempo, però, (questa è la nota positiva) si aperto un processo contro il presidente consiglio precedente, reo di aver permesso di condurre il paese allo sfascio.
Rimane da dire che comunque all'atto pratico - all'atto della contrattazione . - parte del debito sia stato già pagato. Purtuttavia, la differenza tra noi e loro è abissale; in quanto noi italiani non stiamo decidendo alcunché! Come per l'entrata nefasta nell'Euro, così per il Fiscal Compact, l'ESM, l'assurdo del pareggio in bilancio scritto nella Costituzione.
Intanto, prosegue il percorso partecipativo, con la nuova costituzione ormai pronta, nuove piattaforme online per la democrazia diretta ed una più equa distribuzione delle ricchezze.
Questa è la via maestra da seguire per uscire dal tunnel depressivo in cui siamo tragicamente piombati. Possibilmente, però, senza pagare un debito che non è stato contratto con il consenso consapevole dei cittadini.
Il popolo è stato gabbato. E' mai esistita una sola epoca in cui le cose non siano andate così?
RispondiEliminaSi, hai ragione: "Il popolo è stato gabbato". La notizia rilevante, qui, è un'altra. Su tutti i mass-media (o quasi) è stata spacciata una notizia falsa: e cioè che il popolo islandese avesse ripudiato il debito! In realtà le cose sono andate assai diversamente. La contro-informazione alternativa al sistema ha disinformato (anziché informare) replicando ed amplificando quella che in realtà si è dimostrata una vera e propria bufala.
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