Avidità fa rima con solidità; ed appare dunque positiva secondo questo semplice apparentamento. Forse se c'è una cosa che non può imputarsi a questo peccato capitale è questa: è eterno; nel senso che non ammette pentimenti, quindi, come i diamanti, è per sempre.
Per contro, l'opulenza non è un incentivo alla saggezza e nemmeno al funzionamento virtuoso di una comunità. Nell'ago della bilancia, dunque, si dovrebbe dare preferenza all'avidità, piuttosto che alla sobrietà. Però, seguendo la rima, anche sobrietà fa rima con solidità. E la sobrietà combatte l'avidità ne respinge l'etica ed il comportamento.
Nell'agio ci si rilassa, si è contenti, appagati del proprio status, quindi, perché cambiare? Invece è la fame che fa l'uomo curioso e, soprattutto, furbo.
Allora, si dovrebbe dedurne che i più affamati sono quelli del terzo e quarto mondo. E lo sono sicuramente, ma non nel senso auspicato dal liberal-capitalismo. E' necessario infatti che a questa "fame" individuale vi sia anche l'ambiente adatto a farla sviluppare nel senso giusto. In tal caso si potrebbe persino pensare che un anonimo Stefano Lavori, nato e vissuto nei quartieri spagnoli, figlio di una baldracca napoletana, sia capace di costruire una profittevole "mela" partenopea, in grado di surclassare i diretti concorrenti d'oltreoceano. E poi, magari creare pure un impero dal nulla, magari facendolo nascere in un basso abusivo dell'hinterland napoletano. Chi si è recato – almeno una volta nella vita – in una Banca per chiedere un prestito sa benissimo a cosa va incontro.
"Stay hungry, Stay foolish". Detta così, la follia legata alla fame non porta a nulla di buono. Ma se Steve Jobs fosse nato a Napoli cosa sarebbe accaduto? Sarebbe diventato ugualmente l'inventore dei PC dalla mera iridata? Esiste una Napoli dell’immaginario che esce dal solito cliché degli spaghetti e mandolini? O, molto più semplicemente, si sarebbe limitato a vendere gli orologi Rolex clonati dai cinesi, agli angoli di Piazza Garibaldi? Fantasie.
Una volta ascoltando la santa messa l'officiante pronunciò quella famosa frase del Vangelo secondo cui "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli..." Rimasi turbato. E non perché io fossi ricco e facessi una vita agiata.Il motivo era un altro. E perché mai non dovrebbe anche lui, anche se ha peccato, godere del perdono divino? Subito qualcuno mi risponderà che si, è possibile salvarsi, anche in questo caso.
Ma il mio, evidentemente, è un discorso di ordine più generale. Mi spiego meglio. Perché un ricco dovrebbe trovarsi in una condizione di partenza assai sfavorevole rispetto ad un povero? Forse per restituire nell'al di là ciò che è stato tolto nell'al di qua? Allora, però, occorre dire che l'al di là è eterno, mentre qui l'esistenza è un soffio di vento.
Non sono tutti figli del medesimo Dio? Non siamo forse tutti uguali di fronte al figlio dell'Uomo?
Evidentemente no. Da qui ne discende il fatto che la giustizia non presuppone l'uguaglianza. Ma, appunto, l'esatto contrario.
Sul fronte eminentemente pratico le cose si fanno ancor più interessanti. Nella vita di ogni giorno come si comporta l'avidità?
E' solo negativa o assume anche aspetti positivi?
Ieri, per caso, mi sono imbattuto in un vecchio film di Oliver Stone: "Wall Street".
Il protagonista principale è un trader senza scrupoli, che scala società "decotte" e mal gestite; le rileva per quattro soldi, ne assume il controllo, le smembra e le rivende, pezzo per pezzo, guadagnandoci sopra una fortuna. Il suo nome è tutto un programma: Gordon Gekko, pronunciato con la G molto dura e gutturale, stigmatizza perfettamente l'avidità: "Greed is godd".
Gekko nel mondo di Wall Street è assurto ad icona, a modello da imitare e seguire. Gekko è un mito. E' la produzione di denaro per il denaro, per il possesso fine a se stesso. E' la ricerca incessante di ricchezza, come unico fine da osservare e perseguire. Possedere il lusso in quanto tale, ostentarlo per suscitare invidie e frustrazioni. Il tutto evidenziato da volgari cliché, che ne mostrano l'estrema tracotanza. Anche la cultura è al suo servizio: legge l'arte della guerra di Sun Tzu e la mette abilmente in pratica. In lui non domina il mezzo tono, i colori sbiaditi. Tutto è chiaramente aggressivo.
Anche il suo sguardo è penetrante e sembra violentare chi gli sta di fronte. Lo si nota allorquando rimira con soddisfazione il suo timido apprendista, il quale ammette candidamente che prima di diventare ricco non aveva mai capito quanto fosse povero. Il suo allievo è un certo Bud Fox che, stufo della solita routine come broker, vuole uscire dall'anonimato e diventare come Gekko. Dopo varie peripezie, dove viene continuamente messo alla prova da Gordon, che in questo caso, assume il ruolo di una sorta di collaudatore antropologico, riesce quasi nel suo intento. Ma per farlo dovrà passare sul corpo di suo padre. Di lì la svolta che, a mio parere, da un senso a tutto il film. Gordon Gekko non è solo il prototipo del rampantismo, Gekko è la risposta "democratica" a chi è ricco sin dalla nascita. Infatti il suo nemico principale è Sir Larry Wildman, un facoltoso nobile inglese, trasferitosi a New York. Gordon rappresenta il nuovo potere americano che si sostituisce a quello inglese nel dominio del mondo.
In effetti, tale modello sarà seguito negli Usa da tutti coloro che, in un modo o nell'altro - vedi il caso Enron - faranno dell'avidità la loro unica bandiera.
Gordon Gekko, contrariamente a quanto si può pensare in questi casi, non è solo un personaggio creato dalla fantasia del suo regista, non è un "anti-eroe" che vive solo nel mondo della celluloide; egli può davvero assurgere a mito calato nella realtà. E non è unico. Proprio perché è una risposta “democratica”, egli avrà tantissimi esempi reali. E la realtà, in questo caso, supera la fantasia.